Il mondo ci riprova: a 20 anni esatti dalla prima, storica conferenza Internazionale su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, il prossimo 20-22 giugno la città brasiliana ospiterà la Conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile.
Ma cosa si è fatto di concreto negli ultimi due decenni per ridurre l’impatto delle attività umane sulla salute della Terra? Lo riassume l’UNEP - l’ente che all’interno delle Nazioni Unite si occupa delle tematiche ambientali – in un report di recente pubblicazione, nel quale viene delineato un pianeta a due velocità: da una parte il mondo industrializzato, che si è impegnato, pur se con risultati altalenanti, nel ridurre la pressione sull’ambiente. Dall’altra i paesi in via di sviluppo e le economie in crescita, Cina e India in testa, la cui attenzione per le risorse naturali è attualmente in secondo piano rispetto ai risultati economici.
Gli umani sono tanti, 7 migliaia di milioni. Negli ultimi 20 anni la popolazione mondiale è aumentata di quasi 1,5 miliardi di persone e raggiungerà i dieci miliardi entro il 2100. E mentre in Europa siamo solo il 4% in più rispetto al 1992, Africa e Asia sono cresciute rispettivamente del 67% e del 53%.
Oggi anche in queste zone il boom demografico sta rallentando, ma i tassi di crescita della popolazione sono comunque 3 volte più alti rispetto a quelli delle economie evolute.
Vicini vicini. Dal 1992 a oggi le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti sono raddoppiate. Il record spetta a Tokyo, dove ormai vivono 36,7 milioni di persone, più o meno come in tutto il Canada.
Le nuove supercittà sono però quasi tutte nei paesi in via di sviluppo: Delhi, India (22,2 milioni di abitanti), San Paolo, Brasile (20,3), Mumbai in India (20), Città del Messico (19,5).
Più bistecche per tutti. In questi ultimi due decenni gli inviti a ridurre il consumo di carne sembrano essere rimasti inascoltati: il consumo procapite di hamburger, carpacci e costate varie è infatti passato dai 34 kg del ’92 ai 43 kg di oggi. Il più alto incremento nella domanda si è registrato, ancora una volta, nei paesi ex poveri, Asia e Sud America in testa.
Un dato preoccupante, anche dal punto di vista ambientale. La filiera della carne, tra allevamento, coltivazioni di foraggio e trasporto è infatti una tra le più inquinanti al mondo: secondo le stime dell’UNEP da sola è responsabile per quasi un quarto delle emissioni totali di CO2 del pianeta.
Più ricchi, più inquinatori. Nonostante la crisi economica che ormai da anni affligge le economie di tutto il mondo, dal ’92 a oggi il PIL complessivo del pianeta, cioè la ricchezza prodotta globalmente, è aumentata del 40% passando da 36 mila a 63 mila miliardi di dollari. Finalmente una buona notizia, se questa maggior disponibilità di risorse non avesse portato, come effetto collaterale, un incremento del 41% nella domanda di materie prime da costruzione e carburanti fossili.
Nonostante questo, il rapporto dell' UNEP evidenzia come su un cittadino indiano gravi un livello di emissioni 10 volte più basso rispetto a quello di uno staunitense.
Ma non c'è solo l'anidride carbonica: dalla prima conferenza di Rio ai giorni nostri la temperatura media del pianeta è aumentata di 0,4°C, il livello dei mari è salito di 2,5 mm l'anno e sono scomparsi 300 milioni di ettari di foresta, una superficie pari a 9 volte quella del nostro paese.
Cosa succedera a Rio +20? L'obettivo della conferenza è duplice: da un lato l'ONU vuole che i paesi membri si focalizzino sulla green economy come unica alternativa per lo sviluppo sostenibile e la lotta alla povertà, dall'altro vuole definire un quadro di riferimento che stabilisca le linee guida che i governi devono adottare.
Il tema fondamentale del vertice è qello di promuovere una nuova consapevolezza sull'importanza delle tematiche ambientali, non solo a livello di macro politica internazionale ma anche di singola nazione, governo locale e società civile. Insomma, se rivoluzione verde dev'essere, deve partire da noi.
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