Non crescono più in fretta se glielo chiedete, e non è detto che apprezzino Mozart: in ogni caso può darsi che le piante ci sentano, ma soprattutto, che sentano gli esseri viventi cui più di tutti sono interessate, gli impollinatori. Due nuovi studi riportati sull'Atlantic raccontano la vita acustica vegetale, da entrambi i capi del "telefono" - emittente e ricevente.
I due set di esperimenti condotti da due biologi dell'Università di Tel Aviv (Israele), suggeriscono che le piante possano avvertire il suono degli impollinatori che si avvicinano utilizzando i fiori come "orecchie"; e che a loro volta, emettano ultrasuoni impercettibili agli umani, forse rivolti verso quegli stessi impollinatori - per esempio, per comunicare informazioni sul proprio stato di salute.
Coi piedi di piombo. I due studi in pre-pubblicazione, non ancora usciti su riviste scientifiche, suscitano reazioni contrastanti in chi si occupa del tema - ancora poco esplorato - della comunicazione vegetale. Anni di pseudoscienza sull'argomento hanno alimentato un certo scetticismo verso le nuove, più sorprendenti scoperte, e quello che sappiamo sull'espressività della flora riguarda più che altro la comunicazione... chimica.
Sappiamo che le piante inviano segnali chimici "via aria" anche a lunghe distanze, per avvertire le loro simili della presenza di predatori; che comunicano sottoterra grazie a una rete di funghi che connette le loro radici; che manifestano stress quando vengono azzannate dagli insetti e che rispondono alle vibrazioni dei loro tessuti.
Come il mio nettare, nessuno. Al team israeliano sembrava controintuitivo, dal punto di vista evolutivo, che le piante non utilizzassero anche i suoni, avendo contatti così frequenti con gli animali. Nella prima serie di test, al chiuso e all'aperto, gli scienziati hanno dimostrato che alcuni esemplari di una specie di primula, la Camissoniopsis cheiranthifolia, reagivano al rumore classico del ronzio delle api producendo, in soli tre minuti, un nettare più dolce del 20%.
Una forte motivazione. Questo primo studio, accolto con entusiasmo da gran parte della comunità scientifica, è importante almeno per due motivi. Il primo è che ha perfettamente senso, dal punto di vista di gestione delle risorse: produrre un nettare più zuccherino richiede molte energie, e non conviene averlo sempre "di scorta". Più utile è averlo a disposizione quando un'ape si avvicina. La seconda ragione è che questo stimolo sonoro - il ronzio - è significativo per le piante, perché connesso alla loro facoltà di riprodursi, a differenza di altri stimoli sperimentali che di rado si incontrano in natura, come la voce umana o la musica.
Il team ha poi dimostrato che a captare le onde sonore sono i fiori stessi, che vibrano in risposta al battito d'ali degli impollinatori: mettendoli sotto una campana di vetro smettono di oscillare, e il nettare non diventa più dolce.
messaggi discreti. Il secondo studio rivela che le piante producono suoni: non gli "scoppiettii" di tante bolle d'aria più volte captati da microfoni posti vicino agli steli, ma brevi ultrasuoni che l'uomo non può percepire, a un volume di 60 decibel (quello di una normale conversazione) alla distanza di 10 cm. Le creature sensibili a queste frequenze, come pipistrelli e falene, potrebbero farsi guidare anche dagli stimoli sonori, nella loro ricerca di nettare. Le piante secche e danneggiate ne producono più di frequente, e un software ha imparato a dedurre lo stato di salute delle piante dai suoni, nel 70% dei casi. Se potessimo udirli, sarebbe più facile capire quando innaffiare...
Questo secondo lavoro ha suscitato maggiore scetticismo, anche tra gli autori stessi dello studio. Intanto, potrebbe trattarsi di semplici suoni indotti dal danno, e non di segnalazioni di stress; difficile, inoltre, capire come questi deboli suoni possano veicolare significato per i visitatori animali.