Natura

Le piante sono in fuga dai cambiamenti climatici

Non solo gli esseri umani e gli animali: anche le piante "si spostano" dove il clima è più favorevole alla loro sopravvivenza. E quelle italiane migrano a nord.

Scalano montagne, attraversano mari e corsi d'acqua, discendono valli, mossi da un solo imperativo: sopravvivere. Milioni di alberi e altre piante, proprio in questo momento e sotto i nostri occhi (spesso incapaci di vedere), si stanno spostando, in fuga dai cambiamenti climatici. Anche i vegetali migrano, infatti, proprio come gli animali, percorrendo a volte migliaia di chilometri. È un fenomeno antico quanto la loro comparsa sul Pianeta, che oggi però sta assumendo proporzioni completamente nuove, a partire dalla velocità a cui la maggior parte delle specie dovrebbe spostarsi per riuscire a salvarsi. Una velocità circa dieci volte più elevata di quella, già estrema, osservata alla fine dell'ultima era glaciale, quando le piante hanno ricolonizzato il Centro Europa alla velocità di qualche centinaio di metri l'anno.

Tempi lunghi, perché i vegetali non si spostano come gli animali. Non muovono infatti se stessi ma la loro progenie (i semi), dunque i loro "movimenti" sono legati alla riproduzione, alla capacità di ogni singola specie di disseminarsi e al ciclo vegetativo - che sono, per la maggior parte delle specie, più lenti di quelli degli animali. Oggi, per sopravvivere ai cambiamenti climatici, molte piante dovrebbero spostarsi in un anno di alcune centinaia di chilometri. Una velocità per loro impossibile, e questo nei prossimi cento anni metterà in discussione la sopravvivenza di un numero considerevole di specie. A meno che l'uomo non le aiuti.

alla conquista di nuove terre. «Proviamo a immaginare l'Europa Centrale di 14.000 anni fa», suggerisce Ivan Scotti (INRA, Istituto Nazionale di Ricerca Agronomica, Avignone, Francia): «forse ci verranno in mente grandi foreste incontaminate. Niente di più lontano dal vero. L'Europa, a quel tempo, era una steppa simile all'odierna Mongolia, dominata da una vegetazione rada e bassa. A un certo punto, però, le temperature iniziarono ad aumentare; in maniera relativamente rapida, cioè in appena 4.000 anni, l'Europa si trasformò in una gigantesca foresta. Gli alberi risalirono dalla penisola balcanica, dalla penisola iberica e dall'Italia, dove si erano rifugiati per ripararsi dai ghiacci, e riconquistarono le terre tornate disponibili. Oggi i cambiamenti climatici spingono le specie europee a una migrazione dello stesso genere, dal bacino del Mediterraneo al Centro Europa, che tuttavia richiede una rapidità molto superiore alle possibilità dei vegetali.»

In tutto il mondo le temperature stanno salendo e i regimi delle piogge stanno cambiando, e questo spinge le piante a spostarsi dove il clima è più favorevole alla loro biologia.

«È come se le foreste dalla zona mediterranea stessero "slittando" verso il Nord Europa», afferma Giovanni Vendramin (IBBR/CNR, Istituto di Bioscienze e Biorisorse). «Le querce, per esempio, si spostano verso i Paesi scandinavi, mentre piante mediterranee, come i lecci (Quercus ilex), tendono verso la parte centrale del continente. Gli alberi probabilmente troveranno più a nord il loro clima ideale, ma la domanda è: a sud, che cosa resterà? Forse arriveranno dal Nord Africa alcune specie, per esempio i cedri, ma a parte questo il rischio è quello di una maggiore incidenza dei fenomeni di desertificazione.»

alberi d'italia. Partendo dal sud dell'Italia, i lecci e la macchia mediterranea risalgono dunque la Penisola, mentre le specie dominanti al nord, come le querce (in pianura) o le conifere (sulle Alpi), si spostano a loro volta verso settentrione o salgono di quota, se si trovano in montagna. I ricercatori prevedono che alcune specie guadagneranno rapidamente spazio a scapito di altre: a vincere la competizione saranno le più resistenti e le più adattabili, perché i cambiamenti climatici non sono solo caratterizzati dall'aumento delle temperature, ma anche da un maggior numero di eventi estremi e imprevedibili come incendi, piogge torrenziali, siccità prolungate e inondazioni, che causeranno problemi supplementari agli ecosistemi. In Italia, a farla da padrone nei prossimi decenni, potrebbero essere alcune specie di abeti e cedri, la robinia, forse anche la quercia da sughero (che come alcuni pini è in grado di difendersi dalla siccità e dagli incendi).

Per prevedere i movimenti delle piante, i ricercatori considerano i tempi di spostamento che la paleobotanica, studiando i fossili vegetali, ha registrato in occasione di cambiamenti climatici analoghi ma più lenti: le glaciazioni. Sempre ammesso che queste migrazioni siano possibili e non siano presenti ostacoli naturali o insediamenti umani o industriali.

Prima che sia troppo tardi. «Le foreste europee sono già entrate in sofferenza e hanno iniziato a deperire», spiega ancora Scotti: «questo rappresenta un grave problema non solo per le foreste stesse, ma soprattutto per noi, perché dalle foreste dipendono la fertilità dei suoli, i cicli biogeochimici, il ciclo dell'acqua e di diverse sostanze minerali. Le foreste sono molto importanti per gli ecosistemi e rappresentano una parte consistente del benessere delle nazioni in cui si trovano: la storia ci dice che i Paesi che le tagliano impoveriscono rapidamente e, anche se non ci facciamo più caso, il legno è una materia prima essenziale.

Quindi se al posto dei faggi a un certo punto cresceranno solo erbe e arbusti avremo parecchi problemi. Se non corriamo ai ripari, tra poche centinaia di anni nel Centro Europa potremmo ritrovarci con qualcosa di simile all'attuale macchia mediterranea.»

Secondo gli esperti il leccio, che oggi vive bene in Italia, Grecia e Spagna, tra cinquant'anni troverà le temperature e il clima più adatti alla latitudine di Parigi, ma non può farcela a coprire quella distanza in appena cinquant'anni - gli ci vorrebbero molti secoli, ed è evidente che si estinguerebbe prima. Per sopravvivere ai cambiamenti climatici causati dall'uomo avrà quindi bisogno - come molte altre piante - dell'aiuto dell'uomo. Oltretutto, nelle foreste è concentrata larga parte della biodiversità: se non le aiuteremo a sopravvivere rischiamo estinzioni in massa, di vegetali e di animali.

miglioramenti genetici. «I primi esperimenti di migrazione assistita sono già iniziati», spiega Scotti, «e gli approcci perseguiti sono vari. Alcuni Paesi come il Canada hanno iniziato a piantare più a nord le specie che finora vivevano centinaia di chilometri più a sud, o fino a cento metri più in basso se parliamo di dislivelli, avvantaggiandole negli spostamenti in modo tale da farle "trovare pronte" quando i cambiamenti climatici diventeranno più severi. Altri Paesi, come la Francia, hanno invece scelto di conservare nelle foreste le specie già esistenti, cercando di renderle più "flessibili" grazie all'introduzione di esemplari della stessa specie adattati a climi più caldi e secchi; incrociando queste piante abituate a condizioni estreme con le popolazioni di alberi già presenti sarebbe possibile migliorarle geneticamente. È difficile, ma è una scelta che può avere un senso. Pensiamo alla foresta di abeti rossi di Paneveggio, nel Trentino, da cui Stradivari ricavava il legno per i suoi violini: sceglieva gli alberi con cura, tutti da lì, perché solo quel particolare legno risuonava come lui voleva. Garantire la perennità di quella foresta assume allora un grandissimo valore, anche culturale.»

In Italia non esiste ancora una politica ufficiale sull'argomento ma, nella zona mediterranea, fenomeni di deperimento forestale sono già osservabili. I boschi si diradano e alcuni alberi soffrono o muoiono: una brutta notizia che però potrebbe rivelarsi preziosa se riuscissimo a capire che cosa hanno di diverso gli esemplari che riescono invece a sopravvivere (cioè quali geni esprimono la loro migliore adattabilità) rispetto a quelli che muoiono.

quali specie sopravviverrano? Quel che appare chiaro è che bisogna iniziare a darsi da fare: il tempo stringe e non potremo attendere cent'anni per vedere quali tra le nuove specie sopravviveranno. In Europa sono partiti diversi programmi per inventariare le risorse genetiche forestali: il sequenziamento del Dna fornirà informazioni preziose per aiutarci a individuare i geni dell'adattabilità (tra cui la resistenza alla siccità e alle alte temperature). Per il resto, è impossibile dire oggi quale delle strategie intraprese funzionerà meglio. Una sola cosa è certa: senza il nostro aiuto le piante stavolta non possono farcela. E senza di loro non possiamo farcela neppure noi.

Tratto da Il viaggio delle piante, di Alessandra Viola, su Focus 281 (marzo 2016), disponibile solo in digitale. Leggi anche il nuovo Focus!

30 settembre 2021
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