Sbiancare le nuvole affinché riflettano i raggi del sole e proteggano dal caldo il reef, Grande Barriera Corallina australiana, la più grande estensione di corallo del mondo: questa la soluzione pensata da un gruppo di ricercatori del Sydney Institute of Marine Science e della Southern Cross University (Australia). L'idea è quella di spruzzare nell'aria delle gocce microscopiche di acqua di mare (con un cannone simile a quello usato per produrre la neve sulle piste da sci) che, evaporando, si trasformino in minuscoli cristalli di sale: questi, incorporandosi alle nuvole, le renderebbero più luminose e riflettenti. Questo breve video (in inglese) mostra i ricercatori all'opera in prossimità di un tratto del reef.
Un progetto utopico? Forse, ma secondo Daniel Harrison, capo dello studio, potrebbe funzionare: «Si tratta di un sistema relativamente economico, che ci permetterebbe di guadagnare tempo e mitigare lo stress che grava su questo ecosistema insostituibile». Nonostante i primi studi siano incoraggianti, ci vorranno almeno altri quattro anni di ricerca prima di poter confermare la validità della teoria.


I coralli stanno morendo. Il riscaldamento dei mari, dovuto al cambiamento climatico, ha procurato non pochi danni alla Grande Barriera Corallina, i cui coralli sono stati recentemente colpiti dal più esteso sbiancamento (o bleaching) mai registrato, il terzo negli ultimi cinque anni. Questo fenomeno avviene quando la temperatura dell'acqua aumenta, facendo sì che le alghe, che vivono in simbiosi con i polipi dei coralli, vengano espulse, privandoli del nutrimento e del loro caratteristico colore.
Ridurre le emissioni. «Se tutto funzionasse come ci immaginiamo, potremmo ridurre lo sbiancamento di almeno il 70%», afferma Harrison. Tuttavia, bisogna agire in fretta: l'efficacia di questa tecnica potrebbe essere compromessa se l'acqua dell'oceano diventerà troppo calda. La sfida più importante da vincere rimane sempre quella contro il cambiamento climatico: «Se non riduciamo le emissioni, questa tecnologia potrà al massimo ritardare di un paio di decenni la perdita totale del reef», avverte Harrison.