Le problematiche legate alla sopravvivenza delle api da anni assillano e preoccupano sia i ricercatori, sia gli allevatori. La vita delle api è strettamente correlata allo stato di salute dell'ambiente e alle dinamiche che lo caratterizzano: gli allevamenti apistici e, in generale, l'insieme degli insetti propri di un territorio (l'entomofauna) subiscono le trasformazioni del territorio stesso, sia quelle di origine naturale sia quelle generate dall'uomo.
In questa seconda categoria citiamo per esempio aree produttrici di un ricco flusso di nettari trasformate in terre dove prevalgono il cemento e i nastri di asfalto, che non sostengono la vita degli insetti, anzi, la mettono a rischio, quando non ne sanciscono la morte. Più subdolo è il danno quando, pur permanendo il verde, si modifica la qualità della vegetazione, per esempio passando da piante nettarifere/pollinifere ad altre prive di questi caratteri.
Nell'ambiente antropizzato questi cambiamenti sono generalmente rapidissimi e fanno sentire i loro effetti da una stagione all'altra o da un anno all'altro, come per esempio quando, nell'ambiente agrario, si passa dalla coltivazione del girasole (nettarifero) alla soia; oppure da varietà nettarifere di girasole ad altre che non secernono nettare. Nell'ambiente naturale analoghe dinamiche sono invece più lente e non necessariamente impattanti sulle api e sugli insetti pollinifagi o glicifagi (ossia che bottinano polline o liquidi zuccherini come il nettare o la melata).
Nei contesti agrari (ambiente antropizzato) e in quelli naturali, da qualche anno si registrano, in crescita esponenziale, insetti e piante di origine alloctona - cioè specie aliene rispetto al territorio in cui si radicano. Alcune di queste hanno avuto influenza sugli allevamenti apistici, e più in generale sugli insetti; in qualche occasione anche sull'andamento numerico di diverse specie di insetti, causandone a volte lo sviluppo improvviso della popolazione, altre volte riducendone il numero sino alla scomparsa, per lo meno in determinati areali.
Rispetto alle api, occorre chiedersi qual è il legame tra l'Apis mellifera e le diverse specie aliene - insetti e piante. La risposta è una: in positivo o in negativo, è sempre un rapporto trofico, ossia di interazioni relative alla nutrizione.
Il caso di due specie botaniche ancora oggi considerate aliene è tipico: l'acacia (Robinia pseudoacacia) e l'ailanto (Ailanthus altissima), due piante comunissime, prevalenti in alcuni ambienti, in grado di produrre grandi quantità di nettare e il cui miele è ben caratterizzato e, nel caso dell'acacia, con un alto valore commerciale.
Benché presente in Italia da oltre 500 anni, l'acacia in alcune regioni è ritenuta specie invasiva, quindi soggetta a una eradicazione pianificata con conseguenze evidenti sulla produzione di miele.
L'ailanto è invece da anni in netta espansione in aree marginali e con caratteristiche del suolo scadenti, come le massicciate ferroviarie o i margini stradali. A fare da contraltare c'è poi una infinità di altre piante aliene invasive che non hanno alcun valore apistico o lo hanno in termini minimi: Prunus serotina, Ambrosia artemisifolia, Polygonum polystachyum, Reynutria japonica e altre ancora.
Non meno articolato è il rapporto fra api e insetti alieni. Qualche anno fa un insettino, la metcalfa (Metcalfa pruinosa), caratteristico per le abbondanti escrezioni di melata, aveva riempito i melari di molti apicoltori fino all'arrivo pilotato e alla diffusione del suo antagonista numero uno, il parassitoide Neodryinus typhlocybae, che nel volgere di pochi anni ha ristabilito un equilibrio ambientale. A discapito delle abbondanti quantità di melata.
Indirettamente dannoso per le api è stato il cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus), che ha causato danni alle fioriture di castagno con conseguente mancanza di produzione di nettare - e quindi l'impossibilità di produrre il miele di castagno. In questo caso, l'intervento umano, avvenuto tramite la diffusione del parassitoide Torymus sinensis, ha consentito la netta riduzione delle popolazioni del cinipide e la graduale ripresa di fioriture e secrezioni del nettare.
La natura è sempre alla ricerca di nuovi equilibri, e se a volte questi vengono meno a causa dell'uomo, altre volte è sempre l'uomo che abbrevia i tempi con le proprie manipolazioni, accelerando la ricomposizione in un nuovo equilibrio dell'ecosistema. È il caso recente delle fioriture primaverili/estive dell'acacia, da anni compromesse a causa delle alterazioni climatiche. Nei decenni passati il miele di acacia era la punta di diamante dell'apicoltura italiana: oggi il suo decadimento quantitativo e qualitativo è diventato una costante, e sempre meno facile la sua produzione - soprattutto nelle zone un tempo vocate. Un possibile sostituto potrebbe diventarlo il miele di ailanto, che comunque dal miele di acacia differisce per sapore, profumo e colore. Nella regola perenne della natura, per cui ogni spazio vitale abbandonato viene occupato da una nuova specie, e in questo eterno girotondo si alterna una specie all'altra.
Recentemente si è assistito al proliferare di una cocciniglia segnalata nel 2017, in prossimità di Milano, la Takahashia japonica: ha abbondanti secrezioni cerose che sviluppandosi formano veri e propri riccioli candidi sui rami degli alberi colpiti.
È capace di attaccare molte piante, sia ornamentali sia boschive. Produce buone quantità di melata e la sua ulteriore particolarità è quella di essere attiva già nei primi mesi primaverili - in coincidenza della fioritura dell'acacia, che però è ormai sofferta e improduttiva. Si potrebbe perciò ipotizzare che nel prossimo futuro, nel medesimo periodo dell'anno, nella produzione di miele prevalga il poliflora dato dal nettare di ailanto, di acero e di melata di cocciniglia.
Bisogna però pensare anche alla sostenibilità della cocciniglia quale fonte di zuccheri. T. japonica ha una particolare affinità con le specie ornamentali, quindi a rischio di invasione sono una buona parte delle specie impiegate nell'ambiente urbano, nei parchi e nei giardini. Il rischio che si corre potrebbe essere quello già capitato in altri casi simili, per esempio con Albizia julibrissin (Acacia di Costantinopoli o Gaggia arborea), alberetto che per le piccole dimensioni e la bellezza dei fiori trovò ampi spazi nell'ambiente urbano, ma l'avvento degli psillidi (insetti) Acizzia jamatonica, A. acaciaebaileyanae e A. uncatoides, provocando abbondanti emorragie di linfa e produzione di melata, costrinsero molti giardinieri a effettuare trattamenti insetticidi, con conseguenti danni letali anche per le api.
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Gli autori: Daniela Lupi e Mario Colombo, del Dipartimento di Scienze per gli alimenti la nutrizione e l'ambiente - Università degli studi di Milano.