Nel tempo, i vulcani italiani hanno più volte manifestato tutta la loro potenza e "vitalità", nei modi più diversi, e continuano a farlo. Sono di vari tipi, nati da giganteschi fiumi di magma che risalgono dal mantello o generati dallo scontro tra zolle di crosta terrestre. Sono tra i più studiati al mondo, e non solo perché sorgono a ridosso di zone densamente popolate: sono "nelle cronache" da migliaia di anni, ed è per questo che sono modelli di riferimento per descrivere i tipi di eruzione.
Sono sempre di attualità: l'Etna è praticamente sempre in attività, a volte più, a volte meno, e per i geologi si sta trasformando e sta forse cambiando il modo di eruttare; lo Stromboli, attivo da più di duemila anni, periodicamente inizia una nuova fase particolarmente violenta (come in questo inizio di luglio: vedi Stromboli 2019); il Vesuvio, nonostante sia sopito, desta maggiore preoccupazione: perché sopito non significa spento, e nel corso della storia ha più volte mostrato di che cosa è capace quando si risveglia.
L'Italia è un paese di vulcani, terremoti e terre instabili. La causa è facile da individuare: tre placche tettoniche, la tirrenica, l'adriatica (che fanno parte della placca euroasiatica) e l'africana, si muovono e premono l'una contro l'altra. Dalla collisione tra le prime due sono emersi dal fondo del mare gran parte degli Appennini (e i vulcani che si trovano in quelle regioni), mentre dallo scontro tra l'africana e la tirrenica hanno preso forma i vulcani dell'Italia meridionale.
Scontri sotterranei. Queste collisioni (ancora in atto) fanno sì che le placche adriatica e africana si stiano infilando sotto (subduzione) a quella tirrenica a una velocità di circa 0,6-1 millimetro all'anno. Questi eventi, pur simili tra loro, hanno dato origine a vulcani dalle forme e dai comportamenti differenti, ma con caratteristiche comuni: per esempio, tutti hanno un cono e un camino vulcanico che sfocia in superficie con una o più bocche. Alcuni, però, sono più violenti di altri: sono esplosivi. L'elemento che determina questa fondamentale differenza è il magma.
Per lo Stromboli e il Vesuvio, per esempio, il magma è il risultato della fusione delle rocce (a circa 700° C) in seguito allo sprofondamento delle placche. Nel caso dell'Etna, invece, i magmi arrivano direttamente dal mantello terrestre: questo vulcano si innalza infatti al di sopra di un cosiddetto punto caldo. L'origine dei magmi, la loro composizione e densità, determina la forma del vulcano e il tipo di materiale eruttato.
Negli ultimi due milioni di anni si sono avute manifestazioni molto importanti di almeno due tipi diversi di vulcanesimo. Una prima attività vulcanica è legata allo scivolamento della placca del Mar Adriatico sotto a quella del Tirreno. La zolla sprofondata ha attualmente raggiunto i 450 chilometri di profondità, e dalla sua parziale fusione si sono formati i magmi che hanno dato origine ai vulcani appenninici, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, ai laghi craterici laziali (Bolsena, Vico, Bracciano, Albano e Nemi). Anche le emissioni di vapori e gas del Monte Amiata e i vulcani (che si ipotizzano spenti) del Vulture (Potenza) e di Roccamonfina (Caserta) sono legati allo stesso fenomeno.
Cime sottomarine. Una seconda area di attività vulcanica è quella che si manifesta in seguito allo scivolamento della zolla africana sotto a quella tirrenica: il fenomeno ha dato origine al vulcano sottomarino Marsili e a quelli delle Isole Eolie (Stromboli). Questi gruppi di vulcani sono tra loro abbastanza simili nel modo di eruttare.
Fa eccezione l'Etna, perché è legato alla presenza di grandi fratture che interessano l'intera crosta terrestre e che scendono fino al mantello sottostante (anche l'Isola Ferdinandea, che oggi è sotto il livello del mare, ha la stessa origine).
Effusioni ed esplosioni. Le lave dell'Etna fuoriescono con relativa "calma" (così è stato finora), sono molto fluide e possono viaggiare a velocità sostenute anche per diversi chilometri, prima di rallentare e fermarsi: l'Etna ha infatti un diametro di diverse decine di chilometri. I suoi gas, che pure sono presenti in abbondanza, si separano dalla massa fluida del magma in modo relativamente poco violento. Questo vulcano non possiede un vero e proprio serbatoio da cui attingere il magma, che proviene direttamente dal mantello della Terra: tuttavia, prima di uscire in superficie, il magma ristagna in giganteschi contenitori naturali, che una volta pieni danno origine alle singole eruzioni.
Mentre i magmi del mantello sono poco viscosi, il magma del Vesuvio e dello Stromboli, invece, ha origine dalla crosta che fonde: sono magmi profondamente diversi, e da questa diversità deriva la natura esplosiva di quei vulcani.
I magmi che si formano per fusione delle rocce della crosta sono viscosi: per eruttare occorre loro una forte spinta dei gas. Quando la pressione dei gas supera la forza di coesione del magma, si verifica una violentissima esplosione che fa eruttare gas e polveri che ricadono vicino al vulcano e, eruzione dopo eruzione, gli fanno assumere la caratteristica forma a cono. Il Vesuvio ne è l'esempio più classico: l'esplosione del 79 d.C., le cui ceneri seppellirono Pompei ed Ercolano, testimonia la pericolosità di questo tipo di eruzione.
I Campi Flegrei. I geologi hanno potuto stimare che 36.000 anni fa e poi ancora 14.000 anni fa, un vulcano poco a nord del Vesuvio esplose dando origine a eruzioni violentissime. Quegli eventi scoperchiarono la parte sommitale dell'edificio vulcanico, che collassò su se stesso fomando una caldera, che nel caso specifico è un enorme pentolone di una quindicina di chilometri di diametro: è l'area dei Campi Flegrei.
Le caldere si possono comunque formare in modo meno catastrofico, semplicemente in seguito allo svuotamento della camera magmatica dopo un'eruzione. In Italia ne sono un esempio i vulcani laziali, le cui caldere ospitano i laghi di Bolsena e di Vico, dal quale si erge il piccolo cono vulcanico di Monte Venere.