Dall’alto si presenta come una serie di puntini bianchi ordinati, su uno sfondo azzurro e beige. Come tante capocchie di spillo in fila su un tessuto. E invece è il più grande parco eolico offshore del mondo, il London Array, immortalato dal satellite Landsat 8 il 28 aprile 2013, venti giorni dopo essere entrato a pieno regime.
La foto è stata diffusa dalla Nasa soltanto ora. Nell'orginale, non ingrandito, si nota la posizione strategica dell’impianto: a 20 km dalla costa inglese, dove il Tamigi incontra il Mare del Nord e il vento non manca. Arriva soprattutto da Sud-ovest e le 175 turbine, alte ciascuna 147 metri, sono allineate in modo da sfruttarlo al meglio e generare fino a 2,2 milioni di megawatt-ora all’anno: abbastanza per rifornire d’energia 500 mila abitazioni.
La distanza tra le singole turbine è tra i 650 e i 1.200 metri e, in totale, il London Array occupa una superficie di 100 chilometri quadrati. Ma il parco eolico è destinato a crescere ancora, fino a 245 chilometri quadrati d’estensione.
Sabbia
Le aree giallognole sul Tamigi, che si vedono nelle foto, sono la traccia dei sedimenti del disgelo primaverile, raccolti dal fiume inglese sulla sua strada. Quello che non si vede è invece la ragnatela di cavi interrati sul fondo del mare, che collega le turbine tra loro e con le tre centrali elettriche – due in acqua e una sulla costa – dove avviene la trasformazione dell’energia.
Luci e ombre
I promotori del London Array affermano che il parco eolico permette di ridurre le emissioni annue di CO2 di 900.000 tonnellate, pari a quelle prodotte da 300.000 automobili.
I critici del progetto temono che così tante pale possano decimare la popolazione di Strolaghe minori (Gavia stellata) che svernano lungo tutta la costa. Un rischio che potrebbe crescere ulteriormente quando partirà la seconda fase del progetto.
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