La produzione di cereali diminuisce; gli uragani sono più frequenti e più violenti; le acque oceaniche si innalzano più velocemente; nel sud Europa piove di meno, al nord di più... Possiamo ancora cambiare qualcosa?
Gli allarmi sul riscaldamento delle Terra causato dalle attività umane hanno ormai più di vent'anni, a partire dal primo rapporto dell'Ippc (Intergovernmental panel on climate change) del 1990. Ma in quello, come in altri documenti, la modifica del clima sembrava un evento più o meno lontano nel futuro, che l'umanità avrebbe potuto affrontare con calma, mentre tutto poteva proseguire come al solito, con petrolio e carbone a fare da base energetica per l'industria e con le foreste tropicali abbattute per fare spazio ad allevamenti e coltivazioni. Come al solito, modificando gli ecosistemi del pianeta.
I cereali non crescono più. Man mano che passava il tempo le valutazioni dell'Ipcc si facevano sempre più allarmanti, fino a giungere al quinto rapporto, presentato lunedì 31 marzo 2014. Si tratta del documento prodotto dal cosiddetto Working group II, il gruppo di lavoro che si occupa delle conseguenze del riscaldamento, mentre i gruppi di lavoro 1 e 3 si occupano, rispettivamente, della fisica del fenomeno e delle politiche di mitigazione.
Il voluminoso lavoro del Working group II dell'Ipcc (qui il sommario per i decisori politici) afferma una cosa fondamentale: il riscaldamento climatico è già qui e le sue conseguenze sono visibili, basta saperle osservare. Per esempio, ci sono già influenze sulle ondate di calore, sugli incendi e sulle ondate di siccità, sullo scioglimento dei ghiacci eccetera.
Secondo Francesco Bosello, tra gli autori del rapporto e moderatore del seminario che ha presentato il lavoro a Venezia, «fino a pochi anni fa era molto difficile isolare le colpe del riscaldamento da tutte le altre modifiche. Invece nel quinto rapporto, e in particolare nel documento del WGII, si fa riferimento a determinati fenomeni, come la diminuita produttività delle colture o alcuni eventi meteorologici estremi, che possono essere ricondotti proprio al cambiamento climatico». La resa di alcune colture cerealicole come il grano sta infatti già diminuendo di qualche punto, anche se le tecnologie produttive agricole sono sempre migliori. La previsione è che la resa diminuisca del 2% ogni 10 anni. «Non dobbiamo più aspettare che sia il passare del tempo a dimostrare quanto il cambiamento climatico stia influenzando il nostro ambiente», conclude Bosello.
Mari caldi e invadenti. I rischi sono diversi secondo le zone del pianeta, perché alcuni nazioni, quelle delle zone temperate, sono più "protette" dal cambiamento climatico.
Anche se, per l'Europa, si conferma l'aumento delle precipitazioni nel nord del continente e la diminuzione nel sud, Italia compresa. Ancora, in Europa meridionale il cambiamento avrà, sulle attività economiche, un impatto maggiore che in altre regioni. Rispetto al quarto rapporto, uscito nel 2007, sembra che anche i dati sull'innalzamento del livello dei mari siano più preoccupanti, e che la velocità con cui gli oceani avanzeranno verso l'interno sia maggiore di quanto si pensava.
Una parola di speranza. Bosello però afferma che possiamo ancora fare qualcosa intervenendo entro il 2040. Gli scenari disegnati dai modelli dei climatologi ci dicono infatti che, dopo quella dati, i cambiamenti proseguiranno per inerzia, alimentati da se stessi. Se invece cominceremo a diminuire le emissioni di CO2 e degli altri gas serra, e quindi seguiremo uno scenario alternativo (chiamato RPC 2,6), gli effetti dell'aumento di temperatura cresceranno ancora per qualche anno poi cominceranno a diminuire. Per rimediare, però, è necessaria una vera rivoluzione del sistema produttivo, nella selezione delle piante da coltivare e nell'uso e nella produzione di energia.
Se invece seguiremo lo scenario RPC 8,5, che corrisponde a non cambia niente, la concentrazione di anidride carbonica aumenterà fino a far raggiungere al pianeta 6 °C in più di oggi. E le catastrofi non si conteranno.
Qui sotto, un riepilogo del 5° Rapporto di Valutazione dell'Ipcc WG2 in un video in italiano realizzato daInternational Center for Climate Governance, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici (CMCC) e Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM).