Un uomo di 95 anni, Stephane Hessel, se ne è andato, lasciando a noi e soprattutto ai più giovani un prezioso regalo: la speranza per un domani migliore. E una calda raccomandazione: indignatevi gente! Perché è la capacità di indignarsi per le ingiustizie che ci rende esseri umani. L'indignazione precede l'azione per il cambiamento. Los indeinados (gli indignati spagnoli) e gli altri, prima di riempire le piazze, avevano letto nel 2010 il suo manifesto, Indignez-vous, un breve testo contro l'indifferenza tradotto in 27 lingue con 4 milioni di copie vendute (Indignatevi! è tradotto in Italia da Feltrinelli).
Hessel, scomparso nella notte fra il 26 e il 27 febbraio, è stato "uno che ha fatto la storia", invece di subire gli eventi. Tanto da diventare una sorta di santo laico dei diritti civili, quelli conquistati con le idee e l'esempio. Ebreo tedesco che si oppose al nazismo, emigrò in Francia. Evase due volte dai campi di concentramento. Partecipò alla direzione della resistenza francese e poi, nel 1948, lavorò alla redazione della Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo. Con un pensiero sempre positivo, perché convinto, sulla scia di filosofi come Hegel, che la storia, pur fra alti e bassi che richiedono il superamento di gravi contraddizioni, tende a fare emergere società migliori. E anche sulla scia di Sartre, secondo cui ciascuno di noi, senza delegare a figure divine o al paternalismo spesso dispotico dei governi, deve essere artefice del proprio destino, prendendosi le proprie responsabilità.
Hessel riconosce che oggi, nel mondo globalizzato, la complessità rende difficile individuare gli oggetti della nostra indignazione, che "una volta" erano molto più chiari e diretti. Per esempio, con la lotta al nazismo o al colonialismo. Tuttavia basta guardarsi intorno per mettere in moto anche oggi il meccanismo virtuoso di indignazione-azione-cambiamento. Non bisogna nascondersi dietro pensieri come "ma che ci posso fare io", "le cose vanno così e sono più grandi di me".
Ecco alcuni semplici motivi per indignarsi, secondo Hessel. Il primo è l'immensa distanza tra i molto poveri e i troppo ricchi, che non cessa di aumentare; i molto poveri nel mondo guadagnano appena due dollari al giorno; non si può lasciare che questa forbice si allarghi ancora e questa sola constatazione deve suscitare un impegno.
Un secondo motivo riguarda la violazione dei diritti universali dell'uomo. Non solo per cause violente, ma anche per quelle più diffusem che riguardano la sicurezza sociale. «Mi riferisco in particolare alla violazione dell'articolo 22 [della Dichiarazione dei diritti universali delluomo]», spiega Hessel nel suo Indignez-vous. «La sicurezza sociale è intesa a garantire a ogni uomo la soddisfazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità, grazie allo sforzo nazionale e alla cooperazione internazionale.»
Un terzo, forte motivo di indignazione riguarda il popolo palestinese, costretto a vivere in una prigione a cielo aperto come la striscia di Gaza o a subire violenze come la cosiddetta "operazione piombo fuso". «Sono convinto che il futuro appartiene alla non-violenza, alla conciliazione tra culture differenti. È per questa via che l'umanità dovrà affrontare con successo la sua prossima tappa.»
Lo stato del pianeta in peggioramento è un'altra valida ragione per indignarsi: «Il pensiero produttivista, diffuso in occidente, ha trascinato il mondo in una crisi da cui occorre uscire abbandonando velocemente la concezione del sempre di più, nel campo finanziario così come nel campo delle scienze e delle tecnologie. È ormai tempo che i valori etici, di giustizia, di equilibrio duraturo diventino prevalenti. Perché rischi gravissimi ci minacciano e possono mettere un termine all'avventura umana su un pianeta che diventa inospitale».
Per non sbagliare dobbiamo guardarci intorno alla luce dei diritti universali dell'uomo. «È indiscutibile», continua Hessel nel suo manifesto, «che importanti progressi sono stati fatti dal 1948 in poi: la decolonizzazione, la fine dell'apartheid e dell'impero sovietico, la caduta del Muro di Berlino. Invece, i primi dieci anni del XXI secolo sono stati una fase di arretramento. Questa involuzione io la spiego in parte con la presidenza americana di George Bush, l'11 settembre e le conseguenze disastrose che ne hanno tratto gli Stati Uniti, come l'intervento militare in Iraq. Abbiamo avuto questa grave crisi economica ma non abbiamo di contro avviato una nuova politica. Il vertice di Copenaghen contro il riscaldamento climatico non ha permesso di iniziare una vera politica per la preservazione del pianeta. Siamo al limite, tra i disastri del primo decennio e le possibilità dei prossimi. Ma bisogna sperare, occorre sempre sperare. Il decennio precedente, quello degli anni '90, era stato motore di grande progresso. Le Nazioni unite hanno saputo convocare conferenze come quella di Rio sull'ambiente, nel 1992; quella di Pechino sulle donne, nel 1995; nel settembre 2000, su iniziativa del segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, i 191 paesi membri hanno adottato la dichiarazione sugli Otto obiettivi del millennio per lo sviluppo, con cui si impegnano a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015. È mio grande dispiacere che né Obama né I'Unione europea si siano ancora espressi riguardo al loro apporto a una fase costruttiva, basata sui valori fondamentali.»
Come conclude l'anziano combattente per la libertà e i diritti il suo appello a indignarsi? «Ricordando ancora ciò che l'8 marzo 2004, in occasione del sessantesimo anniversario del Programma del Consiglio nazionale della Resistenza, noi veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1944) dicevamo, che certo il nazismo è stato sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e di intere nazioni unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è sparita totalmente e la nostra irritazione contro l'ingiustizia è ancora intatta. No, questa minaccia non è sparita totalmente. Perciò, chiamiamoci sempre a una vera insurrezione pacifica contro i mezzi di comunicazione di massa che non propongono come orizzonte per la nostra gioventù altro che il consumo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l'amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti. A coloro che vivranno il 21° secolo, diciamo con il nostro affetto: creare è resistere, resistere è creare.»