Quando sono partiti a bordo della nave Polarstern i ricercatori della missione MOSAiC erano pronti a ogni evenienza: a tutto quello che sarebbe potuto capitare a una nave carica di scienziati bloccata per un anno tra i ghiacci. Quel tutto, però, non poteva includere una pandemia che ha travolto il mondo. "La spedizione era preparata per ogni scenario immaginabile", ha detto Markus Rex, il leader della missione MOSAiC. Ma l'arrivo di Covid-19 ha fatto sì che la nave Polarstern (che Focus ha seguito dalla sua partenza lo scorso settembre) rimanesse persino più isolata del previsto: niente cambio previsto di scienziati e personale, niente rifornimenti di provviste e carburante. Chi era a bordo si è trovato del tutto bloccato, in una sorta di lockdown nella banchisa, pur in una comunità non raggiunta dal coronavirus.
TRAVERSATA LENTA. "La pandemia ci ha costretti a studiare un piano del tutto nuovo", ha spiegato Rex. La Polarstern non poteva più essere raggiunta dagli aerei con a bordo il personale: sarebbero dovuti decollare dalle Svalbard ad aprile, ma l'arcipelago norvegese è stato del tutto isolato. E anche gli altri rompighiaccio d'appoggio si sono ritrovati bloccati. Così la nave ha dovuto andare a fare il "pieno" fuori dalla banchisa, per rifornirsi e soprattutto permettere il cambio del personale.
I ricercatori hanno smontato la "città della scienza" sorta attorno alla Polarstern e la nave si è staccata dalla lastra di ghiaccio in cui era stata bloccata, iniziando il suo viaggio per uscire dai ghiacci: ben 20 giorni, decisamente più del previsto, visto che lo spessore delle lastre dopo l'inverno ha reso molto lenta l'avanzata (e persino del tutto bloccato la nave). Ora però la Polarstern è finalmente uscita nell'oceano libero dalla banchisa e ha raggiunto le acque delle Svalbard.
In un fiordo dell'arcipelago, il grande Isfjorden, è ora in corso lo "scambio" con le due navi che sono andate incontro alla Polarstern: la Maria S. Merian e la Sonne, partite dal porto tedesco di Bremerhaven il 18 maggio con a bordo il materiale scientifico, i rifornimenti, gli scienziati e il personale pronto a fare il prossimo turno. Le navi da ricerca tedesche, in missione nell'emisfero sud, erano state richiamate in Germania allo scoppio della Covid-19 e hanno potuto essere impiegate nel piano alternativo: arrivate alle Svalbard, hanno dovuto aspettare che la Polarstern uscisse dai ghiacci.
Con loro, c'è anche un'altra nave per il trasporto del carburante.
SCIENZIATI IN QUARANTENA. Prima della partenza dalla Germania, gli scienziati sono stati in un rigoroso isolamento. "Il primo maggio siamo entrati in quarantena in un albergo a Bremerhaven. La prima settimana non potevamo uscire dalla stanza, poi abbiamo potuto fare riunioni tra noi, sempre mantenendo le distanze di sicurezza. Inoltre, abbiamo fatto tre test per Covid-19. Poi siamo saliti a bordo, io sulla Maria S. Merian. Arrivati alle Svalbard, siamo rimasti "parcheggiati" per dieci giorni all'ingresso del fiordo, per l'inaspettata attesa della Polarstern. Ci siamo organizzati per la vita a bordo, facendo attività fisica e persino festeggiando dei compleanni, tra cui il mio", ci racconta Giulia Castellani, ecologa del ghiaccio marino dell'Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare.
Come i colleghi, sta ora facendo il trasbordo e il passaggio delle consegne. "Le Svalbard sono chiuse e non possiamo sbarcare, quindi tutto avviene nel fiordo. Le navi si devono affiancare alla Polarstern per il trasporto del materiale. Noi abbiamo la possibilità di passare un po' di tempo con i colleghi del turno precedente, per il passaggio di consegne".
Poi la Polarstern, rifornita e con a bordo gli scienziati, si infilerà nuovamente nel pack. "Torneremo verso la lastra di ghiaccio dove c'era la postazione iniziale e valuteremo come reinstallare tutto, in base alle con dizioni: sicuramente continueremo la raccolta dei dati ma alcune strutture, come le tende riscaldate che servivano per mantenere aperti i buchi nel ghiaccio, non serviranno più, viste le temperature più miti. Si discute però anche l'ipotesi di ricollocare la nave più a nord".
RITORNO NELLA BANCHISA. Saranno sacrificati un po' di dati – quelli non raccolti nel tempo necessario per andata, rifornimento e ritorno – ma la spedizione continuerà. Raccogliendo altri dati preziosi per studiare l'Artico. "Io studio il sistema microbico nel ghiaccio, e in particolare le alghe che crescono in esso, che sono alla base della catena alimentare e importanti per la sopravvivenza degli altri organismi", continua Castellani. "Ho già fatto un turno nella missione MOSAiC, nel pieno dell'inverno, con temperature bassissime e al buio totale: ora le condizioni saranno meno estreme e poi potrò analizzare la trasmissione della luce – fondamentale per la fotosintesi – attraverso il ghiaccio.
Le attività? Farò carote di ghiaccio, poi fatto fondere e filtrato per esaminare nutrienti e organismi presenti. Inoltre pescherò il plancton che vive appena sotto il ghiaccio e nell'acqua, e anche i pesci. Uno degli obiettivi sarà capire che cosa succederà alla catena alimentare nell'Artico quando, per i cambiamenti climatici, il ghiaccio scomparirà in estate".
Le interviste ai ricercatori prima della partenza della missione