Sotto i nostri scarponi, abbiamo un centinaio di metri di neve e ghiaccio. Siamo a 4.100 metri di quota, nel cuore delle Alpi, sul massiccio del Grand Combin (Svizzera). Ovvero nel punto in cui "nasce" il ghiacciaio di Corbassière, che scende poi dalla montagna come un fiume solido, solcato dai crepacci, per quasi duemila metri.
Sul manto di neve spiccano le tende degli scienziati italiani e svizzeri, che hanno passato qui giorni e notti per recuperare campioni dal ghiacciaio: li abbiamo raggiunti per raccontare la loro spedizione (sul prossimo numero di Focus trovate il reportage completo). E, in modo inatteso, abbiamo purtroppo osservato "dal vivo" gli effetti del catastrofico riscaldamento globale: lo stato del ghiacciaio è critico, il ghiacciaio è infatti intriso di acqua. Una condizione inusuale in questa stagione e a quest'altezza. Nemmeno gli scienziati si aspettavano che la situazione fosse così compromessa.
GHIACCIOLI PREZIOSI. Ma andiamo con ordine. Alla missione partecipano i glaciologi italiani dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr (Consiglio Nazionale delle ricerche) e dell'Università Ca' Foscari Venezia, e i loro colleghi svizzeri del Paul Scherrer Institut. Il loro scopo è recuperare carote di ghiaccio. «Una carota è un lungo cilindro che va dalla superficie fino alla base del ghiacciaio, tagliato ed estratto un pezzo alla volta», ci racconta Jacopo Gabrieli, ricercatore dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr. Sono fondamentali per la ricerca scientifica: «Dalla sua analisi si può ricostruire il clima del passato, o l'inquinamento». Oltre alle analisi gli scienziati hanno anche un altro obiettivo: conservare un campione dal Grand Combin, nell'ambito del progetto "Ice Memory", "memoria del ghiaccio". Lo scopo è creare un archivio di carote prese dai ghiacciai che rischiano di scomparire e che si dovrà realizzare in Antartide.
Jacopo Gabrieli ci mostra il carotiere, ovvero l'attrezzatura che "buca" il ghiacciaio, taglia le sezioni della carota e le riporta su. «Poi le mettiamo in quelle casse», racconta Gabrieli. Le casse sono protette in una trincea scavata nella neve, in attesa di portarle a valle con l'elicottero e di trasportarle in un camion frigorifero, fino ai laboratori.
Situazione drammatica. «Purtroppo ci sono degli strati di acqua profondi che non ci aspettavamo e che stanno mettendo in difficoltà le nostre attività. La presenza di acqua è stranissima, a queste quote e in questo periodo. Non vorrei che fosse già troppo tardi, che la "memoria" dei ghiacciai fosse già compromessa».
Quell'acqua, frutto della fusione di neve e ghiaccio, qui non dovrebbe esserci. Ha creato problemi nella perforazione, e una resistente "lente" di ghiaccio ha bloccato il carotatore. «Si è persino rotto, l'abbiamo dovuto riparare», dice Gabrieli.
Dopo che noi di Focus siamo scesi dal ghiacciaio, i ricercatori hanno continuato i tentativi. Hanno spostato l'attrezzatura di una decina di metri, e continuato la perforazione. Alla fine, mentre scriviamo ci arriva la notizia da Carlo Barbante, direttore dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr e docente dell'Università Ca' Foscari Venezia. «Era ancora peggio di quel che pensavamo, il carotiere si è bloccato di nuovo. Alla fine siamo riusciti a prendere tre carote: una di 26 metri, una di 17 e una di 19 metri. Ma vogliamo tornare. Per recuperare un campione che arrivi fino al fondo e ottenere anche una carota da conservare, inviandola in Antartide». Ma di questo vi racconteremo nel prossimo numero del giornale in edicola a partire dal 21 ottobre 2020.