A partire dal 536 d.C. la Terra conobbe un lungo periodo di oscurità. Non era l'inizio dei cosiddetti secoli bui del Medioevo (il periodo che Francesco Petrarca fa iniziare con la caduta di Roma, nel 476), ma un vero fenomeno atmosferico: in alcune parti dell'Europa e dell'Asia, il Sole splendeva per non più di 4-5 ore al giorno, perennemente coperto, al punto che «i resoconti del tempo dicono che la luce solare era molto simile a quella lunare, per intensità», scrive la geologa Dallas Abbott, che studia gli impatti di oggetti extraterrestri al Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University.
L'oscuramento del Sole provocò un raffreddamento globale del pianeta e, a seguire, drammatiche carestie. Resoconti cinesi riferiscono di "eclissi" mai confermate, e naturalmente, in occidente, «si pensava alla fine del mondo», racconta Abbott. ll mondo non finì (come sappiamo), ma per tutti gli esseri viventi - umani e non - iniziava un ventennio particolarmente complesso, tra il 536 e il 555, che gli anelli degli alberi riflettono con grande precisione.


Al recente convegno dell'American Geophysical Union, Abbott e il suo collega John Barron hanno presentato una interessante interpretazione del fenomeno, per il quale non c'erano finora solide ipotesi. La loro analisi parte da una carota di ghiaccio estratta in Groenlandia, che ha conservato chiare testimonianze di eruzioni vulcaniche sottomarine che riversarono in atmosfera i sedimenti e i microrganismi che furono la causa principale della riduzione della luce solare.
Sono note eruzioni di vulcani in superficie, tra il 536 e il 541, ma nessuna di intensità tale da emettere così tanta anidride solforosa da bloccare la luce solare, creando in atmosfera una pellicola capace di respingere le radiazioni solari, come invece si verificò. E questo lo si può affermare con certezza, perché in nessun sedimento terrestre, né in alcuna carota di ghiaccio, vi sono indizi a supporto di tale ipotesi. Per questo motivo, Abbott e Barron sospettarono inizialmente che la polvere che oscurò così a lungo il Sole potesse essere arrivata da materiale proveniente dallo spazio - senza però trovare testimonianze storiche e geologiche a supporto.


Quando però i due ricercatori analizzarono la chimica dell'acqua di fusione di quella carota di ghiaccio, classificata con la sigla GISP2, trovarono quasi immediatamente la risposta, annunciata da decine di fossili di specie microscopiche tipiche delle calde acque tropicali: «Abbiamo trovato microfossili di organismi che vivevano a basse latitudini e che non erano mai stati trovati in carote di ghiaccio della Groenlandia, e polveri provenienti da sedimenti marini profondi», spiega Abbott.
Come hanno fatto delle specie tropicali a finire sulla calotta glaciale della Groenlandia?
I ricercatori sostengono che microrganismi e sedimenti siano stati lanciati in atmosfera da eruzioni vulcaniche sottomarine che si verificarono vicino all'equatore: quelle eruzioni avrebbero vaporizzato grandi quantità di acqua di mare, e col vapore si innalzarono sedimenti carichi di calcio e di microscopiche creature marine. La violenza delle eruzioni e il volume dei vapori contribuirono a mantenere il materiale fluttuante in atmosfera per quasi due decenni, oscurando il Sole e lasciando la Terra in una sorta di penombra da eclisse perenne.