Natura

Ecco la bomba più pericolosa della II Guerra Mondiale

Oltre 8000 navi militari e civili affondate durante la II guerra mondiale potrebbero presto iniziare a rilasciare in mare il contenuto dei loro serbatoi. Un disastro ambientale di proporzioni...

Sul fondo degli Oceani c’è una bomba ecologica vecchia di oltre 60 anni pronta a esplodere, un ordigno ambientale così potente da far sembrare il disastro della Deep Water Horizon poco meno che un petardo: sono i serbatoi carichi di carburante delle oltre 8500 navi affondate durante la Seconda Guerra Mondiale nei mari di tutto il mondo. E tra queste più di 1500 petroliere.
A lanciare l’allarme dalle colonne del settimane NewScientist sono Trevor Gilbert, dell’Australian Maritime Safety Authority e Dagmar Etkin dell’Enviromental Research Consulting di New York, che insieme a un gruppo di colleghi hanno realizzato il primo database al mondo dei naufragi bellici potenzialmente pericolosi.



La mappa dei naufragi avvenuti durante la II Guerra Mondiale. Clicca sull'immagine per ingrandirla. (© R. Monfils / Sea Australia Database)


Ecocatastrofe postbellica
A quasi 70 anni dall’affondamento l’acqua salata ha corroso le lamiere delle navi fino al limite della tenuta e i serbatoi di molti relitti cominciano a perdere. "Ci sono le prove che molti vascelli affondati al largo degli Stati Uniti sono sul punto di rilasciare in acqua carburanti, lubrificanti e sostanze pericolose di ogni sorta" afferma Etkins. "Non fare nulla e attendere è una possibilità, ma è un tentativo disperato" gli fa eco Ian MacLeod, dell’Australian Maritime Museum che ha già lavorato su molti relitti. "Nei prossimi 5-10 anni dovremmo aspettarci un consistente aumento degli affioramenti di carburante dai relitti di guerra che durerà almeno il prossimo mezzo secolo".
Ma quanto combustibile c’è la sotto? "Calcolarlo con esattezza è molto difficile"spiegano i ricercatori, "poiché molte navi hanno perso gran parte del carburante durante l’affondamento, a causa dei danni strutturali". Etikin e Trevor stimano però che i serbatoi di questi relitti conservano ancora tra 2,5 e 20 milioni di tonnellate di sostanze pericolose. Anche nello scenario più favorevole stiamo parlando di una quantità di derivati del petrolio pari al doppio di quello fuoriuscito dalla falla della piattaforma della BP e 10 volte la perdita della Exxon Valdez.

E le conferme di quanto affermano i tecnici ci sono già: nel 2001 la petroliera militare americana US Mississinewa, affondata tra le isole della Mirconesia il 20 novembre del 1944 con oltre 20.000 tonnellate di petrolio e carburante aeronautico ha cominciato riversare in mare il contenuto delle sue cisterne. Dopo 57 anni di quiete un tifone ha spostato il relitto di qualche metro: è stato sufficiente per incrinare le lamiere e far sì che il contenuto si riversasse sulle bianchissime spiagge circostanti. Secondo gli esperti il mare "mangia" circa un millimetro di lamiera ogni 10 anni, ma generalizzare è impossibile: ogni relitto è un caso a sé.

Basta un foro che garantisca una miglior ossigenazione dell’acqua e la corrosione diventa molto più veloce. E contemporaneamente le colonie di organismi marini che crescono sulle lamiere possono contribuire a migliorare la tenuta dell’intera struttura. Ispezionare e controllare è quindi l’unica strada possibile.

E ‘mo? Chi paga?
Ma una volta identificati i relitti potenzialmente pericolosi, come si può intervenire? Una delle tecniche più utilizzate per svuotare i serbatoi è l’hot tapping. Si praticano dei fori nelle cisterne e si scalda il contenuto con lance termiche per diminuirne la viscosità, poi si pompa il tutto in superficie. L’intervento è però molto costoso: nel 2001, svuotare i serbatoi della Jacon Luckenbach, affondata nel 1953 al largo di San Francisco è costato 15 milioni di euro. Per guadagnare tempo è anche possibile attaccare alle pareti delle navi affondate un anodo sacrificale: un placca metallica che altera le proprietà elettrochimiche dell’acqua circostante arrestando il processo di corrosione. Non solo: elevando i livelli di PH favorisce la crescita di depositi marini sulla superficie del relitto (si chiama "sacrificale" perché la placca metallica che fa da anodo si consuma nel tempo). Non è certamente una soluzione definitiva ma serve a guadagnare un po’ di tempo.
La prossima priorità sarà intervenire sul relitto della Coimbra: una petroliera inglese silurata nel 1944 da un Uboot tedesco al largo di New York: trasportava oltre 11.000 tonnellate di lubrificanti che da anni stanno inquinando le acque di Long Island. Per questo motivo la NOAA (National Oceanic Atmospheric Administration), insieme ad altre organizzazioni governative e non, è riuscita ad ottenere dal Congresso 1 milione di dollari per finanziare un progetto che studi in maniera organica la problematica e le possibilità di intervento. Le questioni più calde sono comunque più di tipo economico che tecnico: nel 1999 Etikin aveva stimato tra i 2.300 e i 17.000 dollari per tonnellata il costo della bonifica, a seconda della profondità. E le nazioni più povere, per esempio la Micronesia, non se lo possono permettere.

21 settembre 2010
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