Natura

Gli effetti dei cambiamenti climatici sull'agricoltura del Mediterraneo

Quali sono le ricadute del riscaldamento globale sull'agricoltura di casa nostra? Tra desertificazione e perdita della biodiversità, ecco lo scenario (inquietante) che potremmo aspettarci.

3 domande sul riscaldamento globale: per rimediare ci metteranno nuove tasse? Gli scienziati del clima sono degli allarmisti? Il global warming riguarda solo i Paesi poveri?

Quando sentiamo parlare di global warming la mente corre alle sempre più sottili calotte polari. Ma i cambiamenti climatici rischiano di far scomparire anche qualcosa che ci riguarda da molto più vicino: il cibo che abbiamo nel piatto. Siccità, anticipo della primavera e scarsità di risorse idriche intaccano progressivamente le risorse agricole, creando squilibri produttivi e crescenti disagi socio-economici.

Quali sono le conseguenze più evidenti del riscaldamento globale sull'agricoltura nostrana? Se ne è parlato mercoledì all'Università di Milano-Bicocca, nel corso del convegno "Milano-Bicocca e i Cambiamenti Climatici: Ricerca, Formazione, Divulgazione". E se ne parla diffusamente nel secondo capitolo del Quinto Rapporto IPCC, il WG2, pubblicato il 4 aprile.

A che punto siamo

Uragani più frequenti, meno cereali, piogge fuori controllo, innalzamento delle acque oceaniche: una fotografia allarmante del clima che cambia nell'ultimo rapporto dell'IPCC.

Desertificazione. Coltivazioni e pascoli coprono attualmente circa il 30% degli 850 milioni di ettari in cui si estende la regione mediterranea. L'attività agricola occupa oggi il 40% del terreno arabile, ma le terre destinate alla produzione alimentare sono sempre più minacciate dalla mancanza di un'efficiente distribuzione idrica e dalla salinizzazione (l'aumento di salinità nel terreno, collegato a scorrette pratiche di irrigazione).

La desertificazione avanza, e il suolo diviene inadatto ad ospitare la vita. A questo si aggiunga l'urbanizzazione, che "mangia" terreno agricolo restituendo cemento: in Italia vengono bruciati così 500 chilometri quadrati di suolo coltivabile all'anno.

Distribuzione delle risorse idriche. Le già scarse disponibilità d'acqua sono distribuite in modo disomogeneo nel territorio mediterraneo e concentrate per lo più nei paesi della sponda nord (Francia, Spagna, Italia, Grecia). A sud, l'80% dell'acqua si trova in Egitto ed è utilizzata a scopo agricolo. Questa disparità geografica provoca grossi problemi di dipendenza economica: i Paesi della sponda sud (quelli della costa africana) sono costretti a importare alcuni prodotti, soprattutto i cereali nobili (grano, mais, frumento, riso) dai paesi della sponda nord, con conseguenti problemi politici: un rincaro dei cereali può minare le già fragili economie di queste aree del mondo.

Senza contare che i cereali maggiori, essenziali per l'alimentazione umana e degli animali da allevamento, sono già scarsi nel Mediterraneo: se ne coltiva qui solo il 12% della produzione mondiale. E i modelli del WG2 indicano che i cambiamenti climatici diminuiscono la resa di queste colture del 2% ogni 10 anni.

Perdita della biodiversità. Eventi climatici "estremi" - come alluvioni e siccità - e la necessità di cambiare habitat (salendo di quota per trovare un clima più fresco) rendono le colture più vulnerabili a parassiti e funghi: in Italia, per esempio, il mais coltivato in alcune aree del Veneto, comunemente utilizzato come mangime per le vacche da latte, durante le estati molto secche viene attaccato dalle aflatossine, naturali sostanze cancerogene derivanti da un fungo (l'Aspergillus flavus) che attacca i raccolti. E le colture contaminate divengono inutilizzabili.

Come se non bastasse, i cambiamenti climatici starebbero influendo anche sul valore nutrizionale di cereali e foraggi.

Le piante assorbono dal suolo sali minerali preziosi per la sintesi di sostanze nutritive - come l'amido nel caso dei cereali. Un terreno impoverito offrirà, a parità di raccolto, alimenti meno nutrienti per uomo e animali. Il ricorso a colture estensive meno vulnerabili agli sbalzi climatici sottrae spazio e valore alle colture specializzate: le varietà di pianta tipiche di un territorio sono gradualmente abbandonate, se non ritenute in grado di resistere al clima che cambia.

Problemi socio-economici. A questi problemi si aggiungano la corsa all'accaparramento di grandi estensioni di terra coltivabile, soprattutto in Africa, a opera di grandi multinazionali straniere (land grabbing), e la crescita demografica con i conseguenti problemi di gestione dell'immigrazione: entro il 2020 i paesi che si affacciano sul Mediterraneo ospiteranno 525 milioni di persone, il 30% in più rispetto ad ora.

In un futuro in cui la distribuzione delle risorse alimentari diverrà una priorità sempre più stringente, è ipotizzabile una corsa all'appropriazione di terre e risorse idriche: solo chi avrà terra e acqua potrà garantirsi la produzione di cibo.

12 aprile 2014 Elisabetta Intini
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