Il 2016 potrebbe essere un anno cruciale per il polmone verde della Terra, con una significativa inversione di tendenza - in senso positivo - dei tassi di deforestazione. Ne parlano ricercatori ed esperti attivi nelle associazioni ambientaliste, attraverso i commenti a studi su autorevoli pubblicazioni online. Tuttavia, gli scenari descritti, anche quando mettono in rilievo quanto di positivo si è ottenuto finora e ancora si può ottenere, portano in primo piano anche contraddizioni e criticità. Vediamone alcune.
Il crollo dei prezzi del petrolio aiuta a limitare lo sfruttamento massiccio di legname, fenomeno che ha caratterizzato negli ultimi anni lo sviluppo economico in Cina e in tutta l'area Asia-Pacifico, oltre che in America latina e in Siberia. D'altra parte, questa politica dei prezzi incentiva l'utilizzo del petrolio e disincentiva invece gli investimenti dell'industria in energie alternative. In più, lo sviluppo industriale in Africa - condotto dalle grandi economie del mondo - si fonda su di una premessa fondamentale: lo sviluppo di infrastrutture, in particolare strade, per le quali si abbattono centinaia di migliaia di alberi.
Gli accordi di "zero-deforestazione" raggiunti con le grandi aziende che usano olio di palma per le loro produzioni industriali. Le aziende, pressate da consumatori e ambientalisti, si sono impegnate a fermare, o almeno a limitare drasticamente la distruzione di foreste native per sostituirle con coltivazioni di palme da olio. Tuttavia Indonesia e Malesia - che complessivamente producono circa l'85% di tutto l'olio di palma del mondo - stanno facendo di tutto per fermare gli accordi: l'Indonesia, in particolare, ha confermato i piani di abbattimento per 14 milioni di ettari di foresta nativa (3 volte la Svizzera) entro il 2020.
L'accordo raggiunto alla Conferenza sul clima di Parigi, in particolare con la firma del REDD+, che sta per "riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste". In teoria, sostiene Bill Laurance (docente e ricercatore alla James Cook University, in Australia) sulle pagine di Conversation, "questo significa che i finanziamenti internazionali dovrebbero cominciare a essere erogati per la conservazione delle foreste finalizzata anche a ridurre la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera per limitare il riscaldamento globale". In virtù di questo accordo le nazioni più ricche, come Usa, Giappone e Australia, dovrebbero aumentare i finanziamenti a tutela del verde nativo, soprattutto ai Tropici. Il Giappone, però, è il principale costruttore di strade in Africa.
Le ondate di siccità e El Niño sono fattori di incertezza, che possono alimentare fenomeni estremi e favorire incendi di grandi dimensioni in Sud e Centro America e nella regione Asia-Pacifico, distruggendo percentuali significative di foreste.
L'incognita Brasile è "politica": la sua economia, scrive Laurance, "sta entrando nell'era glaciale". La crisi brasiliana potrebbe avere un impatto fortemente negativo sull'Amazzonia e sulle grandi foreste fluviali, spingendo a un maggiore sfruttamento di quelle risorse. Ma è soprattutto la crisi politica a preoccupare gli ambientalisti. L'attuale presidente, Dilma Rousseff, è stata in generale pro-ambiente: con lei, "negli ultimi 10 anni i tassi di deforestazione in Amazzonia sono scesi di oltre il 75%". Ma adesso le lobby rurali e industriali sono passate all'offensiva per recuperare ai loro scopi il controllo sull'uso del suolo.
Quante strade deve percorrere un uomo... Sulle pagine di Ensia (pubblicazione dell'istituto di studi ambientali dell'università del Minnesota, Usa), Laurance denuncia il pericolo rappresentato dai costruttori di strade: «L'Agenzia internazionale per l'energia», scrive, «stima che entro il 2050 avremo bisogno di altri 25 milioni di km di nuove strade sulla Terra - abbastanza per fare 600 volte il giro del mondo - e che nove su dieci di queste nuove strade saranno nelle nazioni in via di sviluppo, dove ci sono ancora molti degli ecosistemi più ricchi e importanti del pianeta».
Le foreste tropicali, in particolare, sono estese per circa 400 milioni di ettari (100 volte la Svizzera), hanno grande importanza per la biodiversità, la riduzione della CO2 e la regolazione del clima. Ma ovunque si guardi, dall'Amazzonia al Borneo, dal Congo al Madagascar, le strade le stanno tagliando.