Natura

Una spedizione italiana in Antartide

Dal 10 febbraio al 18 marzo, Focus.it ti "porta" in Antartide seguendo  la spedizione scientifica di Nicola Pussini, ricercatore italiano dell’Acquario di Genova. Vivrà in un campo base sull’isola Livingstone per un mese, con altri 4 scienziati. 

Dall’Acquario di Genova ai ghiacci dell’Antartide: a vivere un po’ come nello spazio (temperatura a parte). Scopo, comprendere meglio i delicati equilibri degli oceani, attraverso lo studio di foche e otarie. «È una ricerca che serve a capire com’è il nostro presente e come sarà il nostro futuro». Lo racconta Nicola Pussini, il veterinario ricercatore che è stato chiamato dal Noaa (National oceanic and atmosferic administration) per partecipare a una spedizione in un Campo Remoto Stagionale: uno di quegli avamposti, aperti solo durante l’estate australe, “alla fine del mondo”, con una temperatura media di intorno a 0°C (d’estate, in riva al mare…) e due giorni di sole al mese.

La base antartica di Cape Shirreff si trova nell'isola di Livingstone.

Il Viaggio. Focus.it racconterà la spedizione in esclusiva, grazie a un filo diretto con Nicola e il suo team, che invieranno foto e aggiornamenti ogni settimana. Il ricercatore italiano partirà da Genova lunedì 10 febbraio: due giorni di aereo, passando per Parigi, Santiago del Cile e fino a Punta Arenas nella Terra del Fuoco. Da lì, quattro o cinque giorni di navigazione su una rompighiaccio, a seconda delle condizioni meteo. Poi, giù dalla nave per salire su un gommone, fino alla spiaggia dell’isola Livingstone, nel campo base di Cape Shifreff, dove Nicola e altri 4 membri del gruppo resteranno fino al 17 marzo.

Che cosa va a fare? La spedizione ha tre obiettivi principali.Il primo è il monitoraggio della diffusione di krill, l’insieme di organismi (simili a piccoli gamberetti), fonte di un terzo del nutrimento di foche di Weddell, otarie orsine antartiche, pinguini papua e antartici. Il krill è oggi pescato in grandi quantità per l’uso in industria farmaceutica e per l’alimentazione (in Giappone è consumato col nome di okiami).

Un team di ricercatori alle prese con una foca leopardo sedata. Esistono 5 specie di foche a Cape Shireff. Per ogni specie vengono selezionati degli individui campione che vengono anestetizzati, catturati, pesati attraverso un sistema trepiede con annessa barella e come-along, marcati con tag. Vengono inoltre prelevati campioni di sangue, feci, pelliccia, tessuti, grasso destinati alle analisi di laboratorio. Sugli individui, infine, viene fissato uno strumento di rilevazione dati tra GPS e radio che poi viene recuperato in seguito.

Il secondo è la realizzazione di un protocollo di anestesiologia per foche di Weddell, foche leopardo e otarie orsine. Infine, insieme al ricontrollo degli animali “taggati” nelle precedenti ricerche, gli scienziati effettueranno campionamenti di tessuti degli animali per valutare la presenza di inquinanti.

È la prima volta che l’istituto statunitense Noaa chiama l’Italia per realizzare una spedizione scientifica congiunta. Un ottimo risultato per l’Acquario di Genova e per Nicola, alla sua terza esperienza in Antartide.

Abbiamo parlato con Nicola Pussini prima della sua partenza. Ecco l'inetrvista.

Nicola, tu sei un esempio di cervello tornato in Italia…

Sì. Mi sono laureato nel 2005 a Bologna. Poi, dopo esperienze in Messico per studiare i dosaggi ormonali nei delfini, mi sono spostato negli Stati Uniti.

Per sei anni ho lavorato tra il Wisconsin e il Marine Mammal Center dell’Università della California - Davis, il più importante centro al mondo sui pinnipedi (foche, otarie…). Ho seguito anche la salute dei famosi Sea Lion del Pier 39 di San Francisco, catturavo i maschi adulti. Poi sono stato in Antartide nel 2009 e nel 2010, come direttore del Campo. Rientrato in Italia, sono veterinario all’Acquario di Genova, che ha un allestimento unico in Europa di vasche antartiche e gestisce un Museo dell’Antartide.

Com’è la vita di uno scienziato in un posto così sperduto?

Non semplice, ma nemmeno terribile. Bisogna superare il momento in cui si vede partire la nave rompighiaccio che ti porta sull’isola. Poi iniziano le cose da fare e c’è poco tempo per riflettere sulla nostalgia di casa.

Ti riferisci al lavoro di ricerca?

Sì, ma non solo. Il campo è fatto alcune “baracche” (in realtà sono casette in legno spartane ma carine). Bisogna tenerle in ordine, gestire i materiali e, soprattutto, cucinare.

Il campo remoto di Cape Shirreff visto dall'alto.

Ma non usate scatolette o cibo in confezioni hi tech tipo astronauti?

Per nulla. La cucina è un compito molto serio. Ogni giorno, a turno, uno di noi si ferma dal lavoro alle 15 e serve la cena alle 20. E non c’è niente di precotto. Figurati che per fare il tiramisù bisogna pure cuocersi i savoiardi.

Lo sbarco sulla terra ferma avviene soltanto con un gommone.

Scommetto che non avete il frigo.

No. O meglio, c’è una stanza non riscaldata. Quella è il frigo. In effetti, non è molto diversa dalle nostre camere da letto: dormiamo in speciali sacchi a pelo, spegnendo le stufette a gas per sicurezza. Quando ci svegliamo, c’è la brina dentro la stanza…

Nel tuo diario in esclusiva avrai molto da raccontare. Puoi anticiparci qualche obiettivo di ricerca?

Prima di tutto, la sua filosofia. Insieme al Noaa, che ha voluto questa collaborazione con l’Acquario di Genova, lavoriamo con un concetto One Health. Vuol dire che malattie animali, salute umana e cambiamenti climatici rientrano tutte in un sistema unico. L’Antartide è una sentinella dello stato di salute del Pianeta. Per esempio, applichiamo speciali trasmettitori ai pinnipedi per calcolare l’attendance trip, il tempo di viaggio degli animali per procacciare cibo per sè e per i cuccioli: questo ci dà la misura di abbondanza o scarsità di nutrimento. Inoltre, teniamo sotto controllo le acque e analizziamo la presenza di inquinanti nei campioni bioologici che preleviamo agli animali. Un mucchio da dati da elaborare, sempre nell’ottica di una salute pubblica mondiale.

6 febbraio 2015 Carlo Dagradi
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