Le ultime sono state quella di Capo Testa-Punta Falcone (Sardegna) e Capo Milazzo (Sicilia), istituite nel 2018. Con loro, oggi, l'Italia ha 29 aree marine protette (ma il sito del Ministero dell'ambiente ne cita ancora 27, ndr).
Sono abbastanza? E a che punto è la protezione del Mediterraneo?
Sul nuovo numero di Focus c'è una grande inchiesta sulle aree marine protette di tutto il mondo: un'area complessiva di oltre 28 milioni di km2, come i territori di Russia e Canada messi insieme. Ma è solo una goccia nell'oceano: quelle aree rappresentano infatti l'8,09% dei mari mondiali. E, di queste, solo un quarto gode di una protezione davvero efficace, ossia vieta la pesca oltre alle attività estrattive.
Che cosa succede, invece, alle nostre latitudini? La fotografia delle aree marine protette nel Mediterraneo - uno dei punti caldi mondiali della biodiversità - non è entusiasmante, e quella dell'Italia ancora meno. Poche zone tutelate, e con mezzi insufficienti. A causa, soprattutto, di norme inadeguate.
SULLA CARTA. Pur avendo oltre 8.700 km di coste, l'Italia ha un numero di aree marine protette inferiore a quello di Spagna e Francia: oggi l'Italia protegge infatti il 4,53% delle sue acque. Siamo, insomma, ancora molto lontani dal 30% auspicato dall'Onu per garantire una sana sopravvivenza della biodiversità del Mare Nostrum.
«La tutela dell'ambiente e della biodiversità è stabilita dall'articolo 9 della Costituzione, ma spesso rimane sulla carta perché affidata a pochissimo personale e con un budget insufficiente», commenta Roberto Danovaro, presidente della stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli.
«In molte aree protette il personale pagato dal Ministero della Transizione Ecologica consiste solo nel direttore dell'area, assunto con uno stipendio da ricercatore e non da dirigente, e a tempo determinato: quando termina il suo mandato l'amministrazione locale che gestisce l'area protetta può confermarlo o no. A queste condizioni, la gestione a lungo termine di un'area protetta diventa molto difficile», aggiunge ancora Danovaro, docente di biologia marina all'Università delle Marche.
SORVEGLIANZA SCARSA. I risultati li ha accertati il WWF nel 2018, con un questionario inviato ai gestori delle Aree marine protette italiane. Quasi tutti denunciano che le risorse economiche e di personale per il controllo delle attività illegali sono «del tutto insufficienti», e che l'organizzazione della sorveglianza «non è adeguata a contrastare le attività illegali». Rifiuti spiaggiati, plastiche in mare, traffico marittimo sono i problemi più diffusi; bracconaggio e pesca illegale sono in aumento.
Peggio ancora: se la qualità delle acque non risulta conforme alla legge oppure i livelli di pesca non rispettano gli obiettivi di conservazione, «raramente vengono presi provvedimenti al riguardo».
Dunque, spesso la tutela del mare è inefficace per mancanza di uomini e mezzi. Ma anche per le norme, che danno agli enti locali il potere di bloccare la costituzione di un'area protetta proposta dallo Stato: «Spesso le amministrazioni locali si oppongono alla tutela di un'area solo per difendere gli interessi del loro bacino elettorale, fatto di pescatori sportivi e diportisti», aggiunge Danovaro. «Nel 1998 era stato avviato il procedimento per istituire un'area protetta al Conero, nelle Marche, ma sindaci e Regione si sono opposti. Mare e spiagge sono beni demaniali, e la loro tutela è un bene superiore, che non andrebbe subordinato ai particolarismi.
E poi, una volta istituita un'area protetta, occorre più collaborazione con le forze dell'ordine per mantenere il rispetto dell'ambiente, anche attraverso nuove tecnologie di controllo a distanza», aggiunge Danovaro.
Una speranza, per le nostre coste, arriva dal Pnrr: a dicembre 2021 il Ministero per la Transizione ecologica ha stanziato 400 milioni all'Ispra per intraprendere azioni di tutela degli habitat marini e per realizzare sistemi di osservazione. Il piano prevede interventi su vasta scala per il ripristino dei fondali e degli habitat marini «per invertire la tendenza al degrado degli ecosistemi del Mediterraneo».
MEDITERRANEO TRASCURATO. Il caso Italia, comunque, non è purtroppo un'eccezione nel Mediterraneo, un'area di altissima biodiversità, ma anche un mare molto delicato: la sua estensione rappresenta solo l'1% degli oceani mondiali e ospita quasi l'8% della biodiversità marina mondiale, ma è anche attraversato dal 30% del traffico mondiale di gas e petrolio. E oggi è tutelato solo l'8,33% delle sue acque. E solo lo 0,04% in modo rigoroso, ossia vietando anche la pesca. Inoltre, la tutela non è estesa in modo uniforme: il Mediterraneo occidentale è protetto al 19,6%, mentre quello orientale e lo Ionio solo intorno al 3%. Le aree più critiche sono quelle dei Paesi nordafricani e mediorientali, che hanno fatto ben poco per tutelare le proprie acque.
Quali interventi è più urgente fare? «I maggiori benefici di conservazione possono arrivare istituendo aree protette nelle aree oggi meno tutelate: il Mare di Alboran, il Canale di Sicilia, l'Adriatico, la Fossa Ellenica, il Mar Egeo e quello di Levante. E occorre tutelare anche gli habitat delle acque profonde, con coralli, canyon, sorgenti idrotermali, banchi di spugne», scrive il WWF nel suo ultimo report.
«Se su ⅔ delle aree costiere tutelate in Italia si realizzasse una fascia di protezione di ulteriori 500 m dalla costa, si otterrebbero altri 220 km2 di aree protette», propone il WWF. Un'altra soluzione potrebbe essere istituire riserve all'interno dei parchi eolici offshore: «Se nelle loro aree interne, gestite da compagnie energetiche, si vietassero la pesca e altre attività impattanti, sarebbero altre aree marine protette a costo zero», conclude Danovaro.