Nelle foto scattate dalla Stazione Spaziale Internazionale il 28 settembre, l'uragano Ian è un mostro che copre l'intera penisola della Florida. Che cosa ha permesso a quella che inizialmente era una tempesta tropicale, di guadagnare una potenza così distruttiva? La risposta va cercata in mare.
In base a nuove rilevazioni della NASA riportate dal New York Times, le acque eccezionalmente calde del Golfo del Messico hanno alimentato il sistema temporalesco trasformandolo in una delle più violente tempeste cadute sugli Stati Uniti negli ultimi 10 anni.
energia dal mare. Di norma i cicloni tropicali (chiamati uragani negli USA e nei Caraibi) perdono potenza dopo aver scaricato venti e piogge sulla terraferma, perché si allontanano dall'umidità e dall'energia termica che risale dai mari, loro principale "motore". Così ha fatto anche Ian, dopo aver seminato devastazione nel sudovest della Florida, rovesciando case e barche, sommergendo con mareggiate interi insediamenti costieri e lasciando senza corrente almeno 2,2 milioni di persone.
Mentre si spostava verso l'interno della Florida, Ian ha perso energia ed è stato declassato a tempesta tropicale - per la misurazione dell'intensità di questi fenomeni esiste una scala apposita, vedi - ma quando ha attraversato di nuovo l'Atlantico per dirigersi verso la Carolina del Sud ne ha guadagnata di nuova.
Lo scenario ideale. Ian ha quindi avuto modo di "ricaricarsi" più volte sul mare lungo il suo percorso. Settembre rappresenta già il culmine della stagione degli uragani nel Golfo del Messico, perché in questo momento dell'anno le acque marine superficiali sono particolarmente calde, e negli ultimi tre anni il fenomeno climatico de La Niña ha creato condizioni favorevoli per la formazione di uragani nel Nord Atlantico. Inoltre, quest'anno, le temperature oceaniche nelle acque antistanti la Florida erano maggiori di 2-3 gradi Farenheit (pochi centesimi di grado Celsius) rispetto alla media stagionale. Non è poco: per far innalzare anche minimamente le temperature oceaniche occorre che i mari assorbano ingenti quantità di calore.
Più intensi, veloci, piovosi. Gli oceani assorbono più del 90% del calore in eccesso prodotto dalle attività umane. Per questo motivo, anche se i cambiamenti climatici non hanno necessariamente aumentato il numero degli uragani, li hanno però resi più intensi, perché forniscono loro tutta l'energia in eccesso di cui hanno bisogno. Non a caso il numero di tempeste distruttive (quelle di categoria 4 e 5) è aumentato dagli anni '80 ad oggi.
La crisi climatica favorisce anche un altro fenomeno, quello della rapida intensificazione delle tempeste tropicali, ossia la capacità dei venti che le sostengono, di aumentare velocità almeno di 55 km orari nell'arco di 24 ore. È accaduto con Ian ma era successo anche, 5 anni fa, con l'uragano Harvey, passato dalla categoria 1 alla 4 in una notte.
Non è tutto. I cambiamenti climatici rendono gli uragani anche più gonfi di pioggia. Per ogni grado di riscaldamento in più, l'atmosfera trattiene circa il 7% in più di vapore acqueo che viene liberato sotto forma di precipitazioni. Questo, in un panorama già minacciato dall'aumento del livello dei mari e dal fenomeno della subsidenza (cioè il progressivo sprofondamento) delle coste.