Quando 65 milioni di anni fa un asteroide precipitò sulla Terra in quella che oggi è la penisola dello Yucatan, le conseguenze dell'impatto furono tali da modificare il clima del pianeta per milioni di anni, e provocare un'estinzione di massa che fece sparire il 75% di tutte le specie marine e terrestri. I dinosauri sono le vittime più illustri dell'asteroide di Chicxulub, ma ce ne sono altre, meno vistose, la cui scomparsa quasi totale mise a rischio la tenuta degli ecosistemi - come accadde per esempio alle alghe, che sparirono quasi totalmente dagli oceani.
Con un'eccezione: un raro tipo di alga che, sopravvissuta alla catastrofe, ha contribuito a far "ripartire" il pianeta; un nuovo studio pubblicato su Science Advances spiega come hanno fatto questi organismi a superare la crisi, e la risposta è sorprendente: hanno imparato ad andare a caccia.
Armageddon. L'impatto dell'asteroide che fece estinguere i dinosauri provocò una catastrofe climatica su scala mondiale, sollevando un'immensa nube di polvere e detriti che rimase sospesa in atmosfera, raffreddando il clima, acidificando gli oceani e impedendo agli organismi che usano il sole per nutrirsi di compiere la fotosintesi. Tra le vittime di quest'ultimo disastro ci furono le alghe: la maggior parte delle specie dominanti negli oceani di 65 milioni di anni fa si estinsero, ed è per questo che i ricercatori dell'università di Riverside, in California, hanno voluto studiare in dettaglio i fossili delle poche alghe sopravvissute a quell'evento. Il gruppo ha analizzato questi fossili, perfettamente conservati in sedimenti d'argilla, e ha scoperto che quelle alghe erano dotate di un guscio di carbonato di calcio "bucherellato" qui e là come un gruviera; secondo gli scienziati, questo indica che erano alghe predatrici.
A caccia di batteri. L'unica spiegazione per la presenza di buchi nello scudo di queste alghe, si legge nello studio, è che servissero per ospitare i flagelli, minuscole strutture che servono per muoversi; e «l'unica ragione per muoversi è andare a caccia», secondo Andrew Ridgwell, uno degli autori. Ovviamente, visto che parliamo di organismi microscopici, anche le loro prede erano di dimensioni ridotte: i ricercatori pensano che si nutrissero di cianobatteri, cioè batteri fotosintetici, che venivano ingeriti interi e "digeriti" con enzimi specializzati. Queste alghe, comunque, avevano anche i cloroplasti, e quindi la capacità di fare la fotosintesi: una condizione nota come mixotrofia (presente anche in alcune piante moderne, per esempio la dionea), cioè la possibilità di nutrirsi in due modi completamente diversi.
Una capacità doppiamente utile, visto che permise loro anche di riconquistare rapidamente gli oceani quando la luce del sole tornò a disposizione.