Stiamo rastrellando con un numero esagerato di reti mari sempre più vuoti. Dal 1950 al 2015, la quantità di pescherecci nel mondo è più che raddoppiata, a fronte di un calo di pescato a parità di lavoro dell'80%. Abbiamo insomma flotte vaste, efficienti e tecnologicamente avanzate, ma a causa del sovrasfruttamento dei mari e della pesca eccessiva concentrata solo su alcune specie, le riserve ittiche risultano sempre più magre: riempire le reti è cinque volte più difficile oggi di 65 anni fa, e non è certo aumentando le navi da pesca che risolveremo le cose.
A confermare la visione generale degli addetti ai lavori, che da tempo lamentano cali nel pescato, è uno studio dell'Università della Tasmania e dell'Organizzazione di ricerca scientifica e industriale del Commonwealth (CSIRO) australiana, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.
A motore. Negli ultimi 65 anni, la rete mondiale di pescherecci è passata da 1,7 milioni a 3,7 milioni di unità: merito soprattutto della crescita dei mezzi navali dei paesi dell'Asia, che ha compensato una lieve diminuzione di quelli di Europa e Nord America.
Soprattutto, sono aumentate le piccole imbarcazioni motorizzate ad uso artigianale (cioè impiegate in zone costiere e con un equipaggio di 1-2 persone), che hanno sostituito quelle tradizionali un tempo comuni in Asia e Africa.
Oggi, nel mondo, il 68% dei pescherecci è motorizzato, ma a questo progresso tecnologico non corrisponde un maggiore successo economico: le flotte da pesca si stanno espandendo più velocemente di quanto le riserve ittiche, già duramente colpite dagli effetti del riscaldamento globale, possano sostenere.
Tanta fatica per nulla. I ricercatori hanno analizzato le serie storiche (1950-2015) del cosiddetto tasso di cattura per unità di sforzo (catch per unit of effort, CPUE), che indica la quantità di pescato (in peso) per unità di sforzo di pesca, espressa in kW/giorni.
Per la maggior parte del Sud-Est asiatico, dell'America Latina e per il sud del Mediterraneo, questo valore è sceso oggi a un quinto di quello registrato nel 1950: un dato preoccupante soprattutto per le aree densamente popolate e che vivono principalmente di pesca (per esempio nel Sud-Est asiatico).
La "caduta libera" dell'efficienza dell'industria ittica può essere contrastata con una gestione più sostenibile delle riserve ittiche, oltre che con il ridimensionamento delle flotte, come sta avvenendo in Australia. Se invece l'attuale tendenza all'espansione di questo settore proseguisse invariata, entro la metà del secolo potremmo avere un milione di pescherecci in più nei mari, e una quantità di pescato sempre inferiore.