Ecologia

Vertice ONU sul clima: molte parole e qualche promessa (ma non da chi inquina di più)

L'urgenza di provvedimenti sul taglio di emissioni e la rabbia dei ragazzi dei Climate Strike contrastano con l'immobilismo dei principali Paesi inquinanti. Il summit, comunque, non è stato del tutto inutile.

Le aspettative sugli esiti del Summit di Azione sul Clima delle Nazioni Unite andato in scena il 23 settembre a New York erano già piuttosto basse, ma questo non ha risparmiato agli attivisti scesi in piazza negli ultimi giorni (e al mondo intero che guardava a quella sala) una sonora delusione. Nessuno dei principali Paesi emettitori si è impegnato a fare di più per limitare l'introduzione di nuovi inquinanti in atmosfera, così come aveva previsto Greta Thunberg nel suo furente e disilluso discorso introduttivo (qui sotto, in inglese).

Chi c'era, per davvero. Ci sono state alcune parziali buone notizie, e iniziamo da queste: come annunciato dal Segretario Generale dell'ONU António Guterres nel suo discorso di chiusura, 77 piccoli Paesi che poco hanno contribuito a portarci alla situazione attuale hanno annunciato il loro impegno a raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, e altri 70 si porranno, entro il 2020, obiettivi di riduzione ancora più ambiziosi di quelli presi con gli Accordi di Parigi.

Un importante contributo è arrivato, inoltre, dal mondo della finanza e delle aziende. Diversi gestori di fondi proveranno a presentare piani finanziari improntati a emissioni nette zero entro il 2050, e decine di compagnie private si allineeranno agli obiettivi della COP21. Infine, più denaro è entrato nelle casse del Green Fund, il fondo destinato ad aiutare le nazioni in via di sviluppo nelle questioni climatiche: grazie all'impegno di Svezia, Danimarca, Norvegia e Svizzera, che hanno raddoppiato il proprio contributo, ora vi sono stanziati 7 miliardi di dollari.

L'arte di glissare. Tuttavia, le nazioni più ricche e potenti hanno perso l'opportunità di lanciarsi in progetti seri di riduzione delle emissioni. Tre dei Paesi con le maggiori ambizioni di espansione delle centrali a carbone - India, Cina e Turchia - sono stati invitati a parlare, ma ognuno ha evitato accuratamente di affrontare il problema.

Il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, ha detto che la sua nazione si impegnerà ad aumentare la quota di energia proveniente da rinnovabili entro il 2022, ma non ha fatto alcun riferimento alla riduzione della dipendenza da carbone. In Turchia il ricorso a questo combustibile fossile sta avanzando più velocemente che in ogni altro Paese, ma il Presidente Erdoğan non ha annunciato nessun piano per cambiare le cose, né ha espresso l'intenzione di ratificare gli Accordi di Parigi almeno (ha fatto sapere) finché la Turchia non sarà riclassificata come Paese in via di Sviluppo, e potrà quindi accedere a fondi speciali.

La Cina si è limitata a dire che sta rispettando le promesse prese durante la COP21 "al contrario di certi Paesi", ma non ha fissato obiettivi più alti, in parte per le preoccupazioni economiche legate alla guerra dei dazi con gli Stati Uniti, grandi assenti a questo vertice.

In realtà Donald Trump si è presentato a sorpresa, ma non ha preso la parola ed è rimasto soltanto per una manciata di minuti.

Summit di Azione sul Clima delle Nazioni Unite, 23 settembre 2019
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump controlla l'orologio mentre prende parte al Summit ONU sul clima. © Reuters/Jonathan Ernst

Una gara al ribasso. Gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare di fatto gli Accordi di Parigi il 4 novembre 2020, ma che lo facciano o meno non stanno comunque onorando gli impegni presi a Parigi (quando era ancora Presidente Obama). La Russia ha annunciato che ratificherà gli Accordi di Parigi, senza aggiungere nulla di più su come intenda tagliare le emissioni della propria industria del petrolio.

L'Unione Europea non ha espresso l'intenzione di tagliare le emissioni più velocemente di quanto annunciato in precedenza. La neo-eletta Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen vorrebbe dimezzarle entro il 2030, ma prima deve vincere le resistenze di quattro Paesi (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed Estonia) riluttanti a prendere questo impegno.

Intanto... Il 22 settembre, un rapporto della World Meteorological Organization ha definito il quinquennio 2015-2019 come il più caldo di sempre. Le temperature globali sono cresciute di 1,1 °C dall'era preindustriale, e già di 0,2 °C dal quinquennio 2011-2015.

Questa notizia aderisce a #coveringclimatenow, un'iniziativa globale volta ad aumentare la copertura di informazioni sui temi del cambiamento climatico nei giorni che precedono e seguono il summit sul clima delle Nazioni unite (23 settembre 2019).

24 settembre 2019 Elisabetta Intini
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