I governi di Cina e Stati uniti hanno ratificato l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Patricia Espinosa, segretario esecutivo dell’UNFCCC (la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) ha affermato che la ratifica dei due più grandi inquinatori della Terra porta un po’ più vicino alla realtà l’accordo. Anche con l’adesione di Cina e Usa, però, i preliminari non possono dirsi conclusi. L’accordo infatti entra in azione solo trenta giorni dopo che almeno 55 "parti della convenzione" (nazioni o federazioni di stati), che contribuiscono per almeno il 55% delle emissioni totali di gas a effetto serra, hanno firmato.
A chi giova? Il 21 settembre le Nazioni Unite terranno a New York una cerimonia per festeggiare l’evento e depositare gli “strumenti” diplomatici necessari per la ratifica ufficiale. Con la partecipazione di Usa e Cina i Paesi che hanno aderito sono 26, e la percentuale di emissioni raggiunge il 39%: numeri, come abbiamo visto, non sufficienti a far partire il processo.
A che servono quindi queste adesioni? Secondo alcuni commentatori è probabile che il presidente uscente degli Stati Uniti, Barack Obama, abbia compiuto l’atto per due ragioni. La prima è mettere il prossimo presidente (o presidentessa) degli Stati Uniti di fronte a un atto compiuto da cui potrebbe essere difficile recedere, specie se il capo del governo sarà una figura che si oppone agli accordi contro il riscaldamento globale.
La seconda ragione è galvanizzare quella parte dell’industria e del mondo degli affari (come quelli appartenenti al gruppo We Mean Business) che vede l’aumento di temperatura del pianeta e le sue conseguenze come una minaccia al proseguimento delle attività economiche.
La ratifica ha spinto anche alcuni stati degli Stati Uniti a velocizzare la loro adesione al programma, con la California che ha deciso di mettere come obiettivo la riduzione delle emissioni di gas serra del 40% sotto i livelli del 1990 entro il 2030.