Nell'ottobre 2010, 190 Stati membri delle Nazioni Unite stabilirono 20 obiettivi strategici per contrastare la perdita della biodiversità. Questo piano d'azione firmato ad Aichi, in Giappone, sanciva per esempio l'impegno a salvaguardare gli ecosistemi più a rischio come le barriere coralline, a ridurre la pressione sugli habitat naturali, a promuovere una gestione sostenibile delle terre e delle riserve ittiche.
Il 14 settembre 2020, a 10 anni esatti di distanza, le Nazioni Unite hanno annunciato che nessuno di quei 20 obiettivi è stato raggiunto, decretando per il secondo decennio consecutivo - la prima Convenzione sulla diversità biologica è del 1992 - il fallimento della nostra specie nella tutela di tutte le altre.
Le politiche per la salvaguardia (e in molti casi il ripristino) della biodiversità sono dunque a un bivio. E mentre i delegati delle varie nazioni sono al lavoro per negoziare obiettivi globali che saranno adottati dal 2021, un'analisi pubblicata su Science, e firmata da 40 ricercatori, mette in chiaro alcuni punti importanti di cui il nuovo piano dovrà tenere conto. Abbiamo intervistato tre dei firmatari di questo studio per capire che cosa è andato storto finora e come provare a invertire la rotta.
1. puntare in alto. Per avere speranze di risultati concreti da qui al 2050 servono obiettivi ambiziosi, audaci, visionari. «Solo lo scenario più ambizioso darebbe la possibilità di recuperare la biodiversità e non soltanto di rallentare o arrestare le perdite attuali» spiega Colin Khoury, ricercatore dell'Alliance of Bioversity International e del Center for Tropical Agriculture (CIAT). «Senza ambizione, i nostri discendenti vivranno quasi certamente in un mondo con sempre meno biodiversità».
Tuttavia, «l'implementazione è la chiave. Anche gli obiettivi più nobili e ambiziosi falliranno se non saranno messi in pratica» aggiunge Sandra Diaz, ecologa dell'Università Nazionale di Cordoba e del CONICET (l'Istituto Nazionale per la ricerca scientifica e tecnica dell'Argentina), primo autore dello studio. «Allo stesso tempo anche la migliore implementazione non arriva lontano, se guidata da obiettivi timidi e di breve termine. Occorre molto coraggio nel fissarli».
2. Biodiversità non è solo panda e orsi polari, ma l'insieme completo di organismi che vivono in ecosistemi complessi e interconnessi con un'alta diversità genetica. I nuovi obiettivi dovranno abbracciare la complessità della natura e tutelare la biodiversità in ogni sua sfumatura (diversità genetica, all'interno delle popolazioni animali, tra specie, a livello evolutivo, tra ecosistemi: per approfondire - Cos'è la biodiversità).
Si dovrà guardare anche al contributo che sistemi ricchi di biodiversità forniscono alla nostra sopravvivenza: «Vorremmo enfatizzare che la biodiversità include tutte le piante, i funghi e gli animali che ci nutrono e formano la base della sicurezza alimentare globale» dice Ehsan Dulloo, scienziato dell'Alliance of Bioversity International e del CIAT.
Queste piante e animali addomesticati sono stati selezionati per millenni dai nostri antenati e rappresentano l'eccezionale diversità genetica dalla quale dipende la possibilità futura di nutrirci. Ma l'agrobiodiversità è minacciata da colture e varietà a più alta resa, piantate su monocolture su ampie porzioni di terra. È un'importante minaccia alla biodiversità, che si accompagna all'espansione delle aree coltivate a scapito di quelle selvagge».
Poter contare su più specie, senza legare il nostro destino a poche colture tutte uguali, è la chiave per costruire un sistema alimentare che regga ai cambiamenti e alle malattie, e che possa garantire cibo e salute a una popolazione in crescita.
3. Attenzione ai meccanismi compensativi. Gli scienziati chiedono che nei nuovi obiettivi non si ricorra a iniziative basate sul concetto di "nessuna perdita netta", che permettano cioè la distruzione o il deterioramento di un ecosistema a patto che ci si impegni a ripristinare o conservare un'area di pari superficie altrove. «Il diavolo sta nei dettagli - chiarisce Diaz - se si compensa con un ecosistema simile allora è una strategia ragionevole, ma se lo si fa con un'area più povera o semplicemente con ecosistemi diversi, per esempio rimpiazzando un'antica foresta con una piantagione appena avviata, allora questa strategia può essere deleteria».
«Dovremmo porre l'accento non solo sul concetto di "nessuna perdita netta" nelle aree totali, ma anche nell'integrità e nel funzionamento degli ecosistemi» precisa Khoury. «Una foresta che non è mai stata tagliata è un ecosistema molto diverso da un'area verde vuota in una città. Comunque, meglio ancora di "nessuna perdita netta" sarebbe "nessuna perdita e basta"».
4. Guardare all'insieme. L'ultima raccomandazione degli scienziati è pensare a obiettivi che si autorinforzino, in modo che il progresso di uno contribuisca al progresso degli altri, minimizzando i compromessi tra un'area di intervento e l'altra. Soltanto così sarà possibile avanzare simultaneamente e non per singoli traguardi isolati.
Dalla nostra c'è il fatto che la percezione della biodiversità tra i non addetti ai lavori è cambiata drasticamente in questi anni ed è, comunque, un buon punto da cui partire.
«All'inizio, la biodiversità era un concetto arcano, qualcosa che capivano solo persone un po' strane, come i naturalisti, gli ambientalisti e gli ecologi di professione. Poi è stata ingabbiata in un contesto fortemente utilitaristico, come un fornitore di servizi, una riserva da sfruttare. Più recentemente, si è sviluppato un più ampio riconoscimento dei nostri inestricabili e reciproci legami con essa» conclude Diaz.
«C'è molta più consapevolezza nelle giovani generazioni dell'importanza della biodiversità e della necessità di conservarla» conferma Dulloo «tuttavia, ci sono troppe promesse vuote e non sufficienti azioni concrete per ribaltare la tendenza alla perdita di biodiversità».