Un milione e duecentomila: è questo il numero sbarramenti sui fiumi europei, come risulta da uno studio pubblicato su Nature. Sbarramenti sono non solamente le dighe, ma anche le briglie, le chiuse, i tombinamenti e tutto ciò che impedisce il naturale fluire dei fiumi. Con una distribuzione media di 0,74 sbarramenti per chilometro di fiume, da nessun altra parte al mondo i corsi d'acqua hanno così tante interruzioni: precedenti stime indicavano che il numero di barriere fosse la metà.
Per Carlos Garcia de Leaniz (Swansea University, UK), coordinatore del progetto AMBER, nell'ambito del quale è stato realizzato lo studio, «molte di queste barriere sono vecchie e la loro dismissione sarebbe un grande vantaggio per la riqualificazione dell'ambiente: lo studio risponde alle necessità della nuova pianificazione europea sulla biodiversità, che punta a riconnettere 25.000 chilometri di fiumi europei entro il 2030».
Il censimento. Il più importante strumento realizzato per lo studio è il primo atlante delle barriere fluviali dell'intera Europa, liberamente consultabile online e interattivo (si possono inserire diversi filtri di ricerca). Realizzare l'atlante è stato un lavoro molto complesso, perché dai vari database esistenti risultavano 736.348 barriere (tra le quali ben 6.000 grandi dighe) in 36 Paesi, che risultavano poi essere 629.955 togiendo quelle indicate due volte in database differenti. Ben presto si è capito quanto fossero carenti i dati.
I ricercatori, con rilievi sul campo che hanno interessato 147 fiumi europei per un totale di 2.715 chilometri percorsi, hanno rilevato 1.583 barriere, 960 delle quali (il 61%!) assenti dagli inventari precedenti. Il numero di sbarramenti registrati sul campo è stato in media di 2,5 volte superiore a quello indicato nei database esistenti. In questo modo, utilizzando poi modelli matematici sviluppati ad hoc, i ricercatori hanno stimato in almeno 1,2 milioni gli sbarramenti fluviali nei 36 Paesi europei considerati.
Dighe e altri sbarramenti. Per la maggior parte si tratta di barriere costruite per controllare e deviare il flusso d'acqua, o per aumentarne il livello, come sbarramenti (30,5%), dighe (9,8%) e chiuse (1,3%); oppure sono state realizzate per stabilizzare i letti dei fiumi, come rampe e fondali artificiali (31,5%), o per consentire attraversamenti stradali, come canali sotterranei (17,6%) e guadi (0,3%). È in Europa centrale che si conta il maggior numero di sbarramenti, mentre fiumi relativamente non frammentati si trovano nei Balcani, negli Stati baltici e in parti della Scandinavia e dell'Europa meridionale.
Le barriere hanno molteplici effetti sui processi fluviali. Spiega Simone Bizzi
(università di Padova), che ha partecipato al progetto: «I sedimenti sono la componente principale per definire la cosiddetta connettività di un sistema. Un bacino fluviale è esattamente come il corpo umano: c'è bisogno di una connettività corretta, sana, tra i vari comparti di cui è composto il sistema, che sia il corpo umano o appunto l'ambiente fluviale. Qualunque tipo di sbarramento ha un effetto su questa connettività. Tutti conosciamo l'effetto delle grandi dighe: bloccano i sedimenti, sono una disconnessione completa per qualunque tipo di organismo e, soprattutto, alterano il ciclo idrologico. Gli sbarramenti minori, che sono i più diffusi, hanno spesso un impatto minore: non alterano il flusso idrologico quanto le grandi dighe, ma hanno comunque un impatto sulla connettività dei sedimenti e dell'ecosistema. Per esempio, uno sbarramento superiore al metro in un corso d'acqua fa sì che la maggior parte delle specie ittiche non possa più risalire, e questo crea una disconnessione. Molte di queste barriere di piccole dimensioni sono state costruite anni fa: oggi sono obsolete e inutilizzate, e frequentemente non sappiamo nemmeno dove si trovano. Iniziare a migliorare l'ambiente fluviale con la loro rimozione sarebbe utile e non avrebbe conseguenze sull'uso che facciamo di quelle acque».