Ecologia

Estrarre CO2 dall'atmosfera per farne carburante è più economico del previsto

I costi della tecnologia capace di bilanciare in parte le emissioni sono sei volte inferiori rispetto alle previsioni: lo si potrebbe fare su scala industriale già dal 2021.

Aspirare anidride carbonica dall'aria per farne carburante sintetico potrebbe sembrare una soluzione di geoingegneria estrema per tamponare il problema del riscaldamento globale, almeno per ciò che riguarda la questione dei combustibili fossili. In realtà questo procedimento, interessante dal punto di vista ambientale (anche se il bilancio della CO2 equivalente resta negativo), potrebbe adesso essere interessante anche dal punto di vista economico: i costi per l'estrazione di CO2 dall'atmosfera sarebbero infatti sei volte inferiori rispetto alle stime.

Lo afferma un team di ricercatori che ha calcolato l'efficienza di un impianto pilota basandosi su cifre e costi effettivi e non su semplici proiezioni: lo studio è stato pubblicato sulla rivista Joule.

Usiamo quella che c'è già. Da tempo i climatologi avvertono che se vogliamo provare a fermarci sotto l'asticella dei +2 °C di aumento della temperatura media globale, rispetto ai livelli preindustriali, occorre ridurre quasi a zero l'uso dei combustibili fossili entro metà secolo: un obiettivo che allo stato attuale sembra veramente lontano.

Una sorta di compensazione può però venire per l'appunto da tecniche che comportino una sostanziale parità delle emissioni, o comunque emissioni ridotte se consideriamo l'intero ciclo vitale di un processo (lifecycle), catturando, sequestrando e riutilizzando vantaggiosamente parte dell'anidride carbonica già in atmosfera.

In questa direzione, una delle tecniche più promettenti è la DAC (Direct Air Capture). In sintesi, il sistema usa grandi batterie di ventole aspiranti per risucchiare aria: ulteriori passaggi permettono infine di separare la CO2 (cattura) e di stabilizzarla con una soluzione alcalina. Il liquido può essere pressurizzato e iniettato nel sottosuolo, dove viene stoccato (questa fase è appunto detta di sequestro o stoccaggio): al di là del metodo usato, il processo è detto Carbon Capture and Storage (CCS).

La DAC prevede la trasformazione del prodotto stoccato in un combustibile: un carburante fossile sintetico che, bruciato, non produrrà nuove emissioni in atmosfera, perché sono quelle vecchie, che verrebbero a questo punto riemesse e poi nuovamente riciclate.

Dettaglio dell'impianto della Climeworks, in Svizzera. Vedi: come trasformare l'anidride carbonica in qualcosa di utile. © Climeworks

Facciamo i conti. Nel 2011 una analisi dei processi produttivi condotta dall'American Physical Society su questa classe di tecnologie aveva stimato un costo di 600 dollari (510 euro circa) per ogni tonnellata di CO2 aspirata.

Il nuovo studio è stato condotto da ricercatori della Carbon Engineering (Canada), che dal 2015 fanno funzionare un impianto pilota di estrazione della CO2 nella British Columbia (un altro impianto concorrente è presente in Svizzera: ne avevamo scritto qui). L'impianto canadese, cofondato da David Keith, professore di fisica applicata ad Harvard, riesce a estrarre una tonnellata di CO2 dall'atmosfera a un costo compreso tra i 94 e i 232 dollari (dagli 80 ai 207 euro).

L'impianto trasforma poi l'anidride carbonica sequestrata in vari tipi di combustibili liquidi al costo di produzione di un dollaro a litro: più di quello dei combustibili attuali, ma certo non proibitivo.

Unire le forze. Si ottengono così combustibili fossili neutrali, in termini di CO2. Gli scienziati hanno deciso di rendere pubblici dati e procedure, nonostante il rischio industriale, per stimolare il dibattito e nuove soluzioni. Dichiarano inoltre che già nel 2021 si potrebbe avere un impianto capace di produrre 200 barili di combustibile riciclato al giorno. L'ideale per quelle realtà, come la California, che incentivano anche economicamente l'utilizzo di carburanti a basso impatto ambientale.

9 giugno 2018 Elisabetta Intini
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