Siamo sommersi dalla plastica, e il problema è che riciclarla è più complesso di quanto si pensi. La scienza è sempre alla ricerca di nuovi metodi per dare una seconda vita a questo rifiuto così diffuso: ora un nuovo studio pubblicato su Chem propone un metodo per trasformare le poliolefine, il più comune tipo di polimero utilizzato negli imballaggi monouso, in alchil aromatici, molecole base dei surfattanti, i componenti attivi dei detersivi.
La ricerca parte da uno studio precedente nel quale gli scienziati esponevano il funzionamento di un processo di catalisi (si tratta di un processo che grazie alla presenza di un catalizzatore avviene in minor tempo o con minor dispendio di energia) in grado di spezzare i legami degli atomi di carbonio che rendono la plastica così poco biodegradabile e riarrangiarli in catene molecolari chiamate "di anelli alchil aromatici".
Metodo migliorato. Il procedimento, seppur efficace, era molto lento. I ricercatori hanno dunque aumentato l'acidità dell'originale catalizzatore di alluminio, aggiungendo cloro e fluoro, riuscendo così a velocizzarlo. Il nuovo metodo funziona a temperature moderate (e dunque con poca richiesta di energia) e impiega un paio d'ore per completare la trasformazione della plastica in molecole alchil aromatiche, contro le 24 dell'originale.
Meno inquinamento. Ora produciamo surfattanti a partire da fonti fossili: se riuscissimo a produrli a partire dai rifiuti di plastica non "risparmieremmo" solo l'inquinamento derivante dai combustibili fossili, ma anche quello derivante dal riciclo della plastica, che viene normalmente bruciata o gettata in discarica.
Uso su larga scala. L'obiettivo dei ricercatori è far si che questo metodo inizi ad essere usato su larga scala dalle industrie chimiche che producono surfattanti che diventano poi saponi, detersivi liquidi e altri detergenti. Il prossimo passo è verificare l'effettiva sostenibilità del procedimento: «Per determinare se il metodo è davvero ecologico dovremo effettuare una valutazione del ciclo di vita, calcolando l'energia utilizzata e i gas serra emessi per ogni fase», spiega Susannah Scott, una degli autori.