3.760. Tenete a mente questo numero perché è di questo che parleremo. Che cosa rappresenta? Stando a uno dei tanti studi sull'argomento usciti negli ultimi anni, sono le tonnellate di plastica che vagano in questo momento nel Mar Mediterraneo, uno degli hotspot mondiali di questo tipo di inquinamento relativamente nuovo (la moderna plastica è stata perfezionata solo nella seconda metà 1800), ma che rappresenta uno dei maggiori rischi per la salute dei nostri oceani. E del nostro mare in particolare, quello che Platone chiamava "lo stagno", e che il prossimo 28 novembre viene celebrato con il neonato Day of the Mediterranean, una giornata dedicata al Mar Mediterraneo, alla sua bellezza, e anche ai pericoli che corre a causa delle attività umane.
Tutta la plastica del Mediterraneo. La plastica è uno dei pericoli principali: il fatto che le coste del Mediterraneo siano in gran parte luoghi turistici molto frequentati è uno dei motivi per cui il nostro mare è così pieno di plastica, che però arriva anche da altre attività, dalla pesca al trasporto di merci via mare. Ogni anno circa 17.600 tonnellate di plastica raggiungono il Mediterraneo: l'84% finisce la sua corsa su una spiaggia e il restante 16% rimane a galleggiare in acqua, e può viaggiare per centinaia di chilometri in giro per il mare (un po' come fecero, nell'oceano Pacifico, le famose paperelle di gomma). Non è facile tenere traccia di questi spostamenti, eppure riuscirci è fondamentale per poter organizzare operazioni di recupero; perché il modo migliore per combattere l'invasione della plastica nel Mediterraneo è tirarla fuori dal mare.
Una delle protagoniste di questa battaglia contro i materiali plastici è italiana, si chiama Maria Cristina Fossi, lavora all'università di Siena e da anni si occupa di studiare l'inquinamento da macro- e microplastiche (sulle quali torneremo) nel Mediterraneo. Non solo: è anche responsabile di Plastic Busters, un progetto di monitoraggio e recupero della plastica nel Mediterraneo che è nato a Siena e, nel 2018, è diventato un progetto su scala europea, con un budget da 5 milioni di euro da spendere entro il 2022.
Plastic Busters – Gli acchiappaplastica. Il nome Plastic Busters potrebbe far pensare a un lavoro avventuroso che prevede di esplorare il mare in cerca di mucchi di plastica vaganti da recuperare e riportare a riva. In realtà il progetto è più complesso di così, e propone una serie di soluzioni da applicare per gestire al meglio l'intero ciclo della plastica in mare.
Il monitoraggio è ovviamente fondamentale per capire dove agire: sul sito di Plastic Busters potete trovare i "diari di bordo" di diverse spedizioni effettuate a partire dal 2019, tra cui una nell'Arcipelago Toscano. Ma le azioni di recupero devono essere organizzate con la collaborazione delle autorità, e più che agire per ripescare la plastica dal mare Plastic Busters fornisce expertise e consulenza ai singoli enti che se ne devono occupare, e i laboratori per l'analisi dei campioni di acqua di mare prelevati dalle spedizioni.
Il problema delle microplastiche. Un dettaglio, che tanto dettaglio non è, su questo tipo di ricerca riguarda le microplastiche. Se infatti è relativamente facile individuare le macroplastiche che galleggiano nel mare (perché, banalmente, si vedono), è più complicato stabilire il livello di inquinamento da microplastiche, che sono tutte quelle particelle di materie plastiche di dimensione inferiore ai 5 mm, e che creano grossi problemi soprattutto quando vengono accidentalmente ingerite dagli abitanti del mare. Al momento, secondo il WWF, il Mediterraneo contiene l'1% di tutte le acque del pianeta e il 7% di tutte le microplastiche - uno squilibrio che nei prossimi anni causerà danni incalcolabili all'ambiente e costerà a noi esseri umani che viviamo intorno allo "stagno" circa 60 milioni di euro ogni anno.
Plastic Busters ha un laboratorio dedicato esclusivamente allo studio dell'inquinamento da microplastiche nella fauna marina, ma per quel che riguarda la capacità di rimuoverle dal mare siamo ancora... be', in alto mare, se ci perdonate il gioco di parole. Ci sono diversi metodi in fase più o meno sperimentale (si parla per esempio di usare i batteri), ma nessuno è ancora abbastanza efficace da diventare uno standard: nei prossimi anni la vera sfida non sarà più come recuperare i sacchetti di plastica dal mare, ma come filtrarlo dalle microplastiche e ripulirlo.
È una sfida da affrontare con una certa urgenza: al momento, la plastica di tutte le dimensioni rappresenta il 95% dell'inquinamento totale nel Mediterraneo – a tutti gli altri materiali rimangono le briciole. E le microplastiche hanno raggiunto, in certe aree particolarmente urbanizzate, concentrazioni di 1,25 milioni di frammenti per km2, quattro volte tanto quella della famigerata "isola di plastica" nel Pacifico. Il Day of the Mediterranean è un'ottima occasione per ricordarcelo, e progetti come Plastic Busters sono un passo nella giusta direzione lungo la strada verso un Mediterraneo pulito - finché siamo ancora in tempo.