Ecologia

Plastica: ecco chi inquina il Mediterraneo

Stop the flood of plastic, uno studio del WWF, fa il punto sull'inquinamento da plastica nel Mare Mediterraneo: quanta ne arriva in mare, chi sono i maggiori responsabili e che cosa si può fare.

Ha soltanto l'1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina: circa 247 miliardi di brandelli. Questa sproporzione fotografa l'inquinamento da plastica nel Mar Mediterraneo. Un triste record, dovuto a un altro primato: l'Europa è il secondo produttore mondiale di plastica. Segno che, in molti casi, non viene smaltita in modo corretto o efficace.

La situazione è descritta dal report del Wwf Stop the flood of plastic (fermate il diluvio di plastica). Ogni anno, ricorda l'organizzazione per la conservazione della natura, finiscono nel Mare Nostrum 570.000 tonnellate di plastica: per dare un'immagine concreta, è come se ogni 20 minuti un Tir svuotasse il proprio carico in mare.

Focus 322 - Plasticene: inchiesta sulle plastiche
Per approfondire - L'inserto su Focus 322, Maledetta, straordinaria plastica, di Vito Tartamella, è interamente dedicato a questa invenzione che ci ha cambiato la vita, ma che adesso sta inquinando il Pianeta e il nostro corpo. © Focus

L'emergenza plastica affligge tutte le acque del pianeta, ma il Mediterraneo ha una differenza fondamentale: essendo un mare quasi chiuso, le correnti fanno tornare sulle coste l'80% dei rifiuti di plastica. Risultato: per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 kg al giorno.

Ne fanno le spese i due Paesi con la maggior estensione di spiagge: l'Italia (12.600 tonnellate l'anno) e la Turchia (12.100 tonnellate l'anno). Se nessuno interverrà, avverte il Wwf, entro 30 anni la quantità di plastica quadruplicherà.

Già oggi quasi 700 specie ittiche ingeriscono plastica, che entra nella nostra catena alimentare (e nel nostro corpo), senza contare l'impatto economico su pesca, turismo, industria marittima e ambiente: l'invasione delle plastiche in mare causa danni per 641 milioni di euro all'anno. Da cosa dipende questa situazione? E, soprattutto: che cosa si può fare?

Mediterraneo di plastica: uno studio del WWF
La spiagge di plastica della parte turca dell'isola di Cipro. © Solianova Margarita / Shutterstock

Le cause. I Paesi del Mediterraneo sono fra i più grandi produttori di beni in plastica al mondo: le industrie ne creano 38 milioni di tonnellate l'anno (dati 2016), pari a 76 kg per abitante, più del 50% in più rispetto alla media mondiale. Questo si traduce in una montagna di rifiuti: 24 milioni di tonnellate l'anno. Circa un terzo (28%) di questi rifiuti è mal gestito: in pratica, 1 kg su 3 non è raccolto o finisce in discariche illegali, e quindi nei fiumi e nei mari. Il restante 72% ha questo destino: il 42% va in discarica, il 14% a recupero energetico (inceneritori o forni dei cementifici) e solo il 16% viene riciclato, e con molte disparità da un Paese all'altro. I Paesi che riciclano e differenziano meno i rifiuti sono Turchia, Egitto, Algeria, Grecia, Marocco, Siria, Montenegro, Albania e Tunisia. In Italia, le regioni del centro-sud riciclano poco.

Alcuni dati sull'inquinamento da plastica in Europa.

Quali Paesi hanno il maggior impatto? Più dei 2/3 della plastica mal smaltita (il 68,9%) arriva da sole tre nazioni: l'Egitto (42,5%), seguito dalla Turchia (18,9%) e, purtroppo, dall'Italia (7,5%). Il nostro Paese getta nell'ambiente mezzo milione di tonnellate di plastica l'anno: «Le zone critiche», spiega Eva Alessi, responsabile consumi sostenibili e risorse naturali del Wwf, «sono le aree più densamente abitate e con un'alta concentrazione di attività industriali e di flussi turistici: il delta del Po e Venezia, e i porti di Napoli, Palermo e Ancona».

Una grave ferita per l'Italia, che ha la terza economia del mare d'Europa. «Il nostro Paese perde circa 67 milioni di euro l'anno per l'inquinamento da plastica», aggiunge Alessi: «le zone più colpite sono disertate dai turisti, e le amministrazioni comunali devono spendere cifre rilevanti per ripulirle. Senza contare i danni all'industria ittica. Per arginare queste perdite l'Italia dovrebbe avere obiettivi di riciclo più ambiziosi, sopratutto al centro-sud.»

Anche Marocco e Libia sono nella lista nera, ma la zona che produce più rifiuti è la Çukurova, una regione sulla costa sud della Turchia, di fronte a Cipro; seguono le aree costiere di Barcellona, di Tel Aviv e il delta del Po. A peggiorare il quadro dell'inquinamento da plastica nel Mediterraneo, il fatto che la Turchia è diventata un grande importatore di rifiuti da quando, nel 2018, la Cina ha chiuso le proprie frontiere a questo commercio.

Mediterraneo di plastica: uno studio del WWF
Un polpo (Octopus) alle prese con un rifiuto in plastica. © Richard Whitcombe / Shutterstock

Che fare? Il Wwf propone ai governanti europei di compiere - e con urgenza - 4 passi. Il primo: aumentare le tasse ai produttori di plastica, una misura che servirebbe a finanziare una più capillare ed efficace raccolta differenziata e riciclo. In Italia questo già avviene grazie al Corepla. Bisognerebbe poi limitare l'uso della plastica introducendo divieti stringenti: nei mesi scorsi il Consiglio europeo ha deciso un bando contro piatti, cannucce e posate di plastica, ma i bicchieri, tanto per fare un esempio, non sono ancora "fuori legge".

Mediterraneo di plastica: uno studio del WWF
Canali e fiumi sono la prima tappa dei rifiuti in plastica dispersi nell'ambiente. © Sergey Gostev / Shutterstock

I divieti, però, non bastano. Occorre anche finanziare la raccolta differenziata e creare discariche controllate. Italia e Grecia, ricorda il Wwf, hanno ricevuto multe da 40 milioni di € ciascuna dalla Commissione europea per non essere riuscite a chiudere diverse discariche illegali. "Al tempo stesso occorre potenziare le sanzioni e i controlli contro gli inquinatori", avverte il report. Altrettanto importante, poi, è investire su ricerca e sviluppo per produrre plastiche più amiche dell'ambiente.

Molto possiamo però fare anche noi, con tre piccoli, ma importanti passi. Comprando, ove possibile, contenitori in materiali biodegradabili; preferendo contenitori di grandi dimensioni rispetto ai monodose (e riutilizzandoli, quando possibile); e riportando a casa i rifiuti che generiamo quando siamo in giro: gettarli nei cestini stradali significa, quasi sempre, destinarli alla discarica invece che al riciclo.

28 luglio 2019 Vito Tartamella
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