Una delle narrazioni più popolari del lockdown è quella che vede la natura riappropriarsi di spazi rimasti vuoti, in contesti finalmente liberi dalla presenza umana e dall'inquinamento. Questa visione romantica del nostro rapporto con la vita animale non corrisponde al vero: i gruppi impegnati nella conservazione di specie a rischio denunciano in queste settimane un aumento delle attività di bracconaggio legato alle misure prese per contrastare la COVID-19.
Cibo o merce di scambio. Il fenomeno è in parte dovuto all'interruzione delle attività economiche e sociali sulle quali si basa la sopravvivenza delle comunità rurali. Rimaste senza forme legali di sussistenza, alcune popolazioni a contatto con aree naturali incontaminate si rivolgono al bracconaggio per sopravvivere. La Wildlife Conservation Society ha denunciato l'uccisione e l'avvelenamento di rari esemplari di avifauna al solo scopo di prenderne le carni e rivenderle sul mercato nero o consumarle localmente. Sarebbero morti così tre ibis giganti (Thaumatibis gigantea) del Chhep Wildlife Sanctuary - l'1% dell'intera popolazione rimasta - e oltre 100 pulcini di tantalo variopinto (Mycteria leucocephala, della famiglia dei Ciconiiformi).
Finanziare gli sforzi. Chi lavora nella conservazione animale sottolinea l'importanza di supportare la popolazione locale, in prima linea nella difesa delle foreste e delle zone umide che ospitano le specie animali più a rischio. È importante che queste economie già fragili abbiano delle alternative e che non debbano ricorrere allo sfruttamento illegale delle risorse naturali per sopravvivere. Le aree adiacenti ai parchi naturali e alle riserve di specie selvatiche hanno sofferto una repentina contrazione del turismo. Occorre chiedersi in che modo queste zone cuscinetto possano continuare a occuparsi della tutela di animali rari, con la metà dei loro introiti improvvisamente evaporata.
In India, si sono registrate segnalazioni di un incremento del bracconaggio di tigri, mentre in Africa preoccupa la situazione dei rinoceronti: ne sono stati uccisi almeno sei in Botswana e altri nove nella provincia nordoccidentale del Sudafrica. E non sono mancati casi di caccia illegale neanche in Europa: almeno 27 uccelli protetti sono stati uccisi in episodi di bracconaggio in Austria, e altri tre tra Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Un cambio di paradigma. La pandemia da COVID-19 ha ricordato quali sono le drammatiche conseguenze di uno sfruttamento sconsiderato della natura. La conservazione delle specie a rischio dovrà essere uno dei capisaldi della ricostruzione post emergenza: non possiamo ricordarci di quanto valgono le risorse naturali soltanto quando vengono a mancare.