Le ondate di calore come quella che a fine giugno ha investito Canada e Nord America sono destinate a diventare sempre meno "straordinarie". Come emerge da un'analisi del Royal Netherlands Meteorological Institute, la trappola di calore che ha provocato decine di decessi nella popolazione più fragile sarebbe stata virtualmente impossibile, se non ci fosse stato il global warming. In un mondo ideale al riparo dai cambiamenti climatici, la possibilità che il termometro segnasse 49 gradi a Vancouver si sarebbe concretizzata una volta ogni 150.000 anni; nella situazione climatica attuale eventi di questo tipo si verificano invece una volta ogni 1.500 anni e nei prossimi decenni, se anche ci manterremo a +1,5 °C al massimo dall'era pre-industriale, le gabbie di calore si presenteranno una volta ogni 5-10 anni.
Quelle che stiamo vivendo sono quindi con ogni probabilità le estati più fresche previste per il 21esimo secolo... Vediamo allora
- che cosa sono e come si formano le ondate di calore, e
- come mai gli esperti ne parlano con preoccupazione.
Quelle che stiamo vivendo sono quindi con ogni probabilità le estati più fresche previste per il 21esimo secolo. Ma che cosa sono e come si formano, le ondate di calore? Come mai gli esperti ne parlano con preoccupazione?
Difficile definizione. Secondo il National Weather Service statunitense, un'ondata di calore è «un periodo di clima esageratamente e sgradevolmente caldo e insolitamente umido, della durata tipica di due giorni o più». Sulla stessa linea la definizione sul sito del nostro Ministero della Salute: «Le ondate di calore si verificano quando si registrano temperature molto elevate per più giorni consecutivi, spesso associate a tassi elevati di umidità, forte irraggiamento solare e assenza di ventilazione».
Ma se si considera il problema dal punto di vista della salute umana, la definizione si fa per forza di cose più complessa e sfuggente. Per esempio, occorre capire se la cappa di caldo si concentri soltanto nelle ore diurne, se la temperatura cali nelle ore notturne e di quanto, perché il nostro organismo ha bisogno di raffreddarsi durante il sonno. Una definizione di ondata di calore che si preoccupi della sopravvivenza umana e non solo - per esempio degli effetti dell'afa sui raccolti - , dovrà tenere conto anche di questo.
Come sappiamo, infatti, il nostro organismo è fatto per funzionare correttamente alla temperatura di 37 °C. I problemi cominciano quando fa così caldo che non riusciamo a disperdere calore abbastanza in fretta per mantenerla.
Temperature estreme possono provocare un malfunzionamento degli enzimi, proteine che favoriscono o accelerano determinate reazioni chimiche, così come degli organi interni, a partire da reni, cuore e cervello.
Per fortuna, sudiamo. Il problema non è solo il troppo caldo, ma l'eccesso di calore unito all'eccesso di umidità. Lo strumento con cui il nostro corpo si mantiene in equilibrio termico quando fa troppo caldo è il sudore. Quando esso evapora, porta via calore dal nostro corpo e lo disperde all'esterno, abbassando la temperatura corporea. Se l'umidità è eccessiva e c'è già molto vapore acqueo nell'aria, allora l'evaporazione del sudore diventa più difficile, e non si riesce a dissipare calore in modo efficiente.


Per indicare non solo quanto caldo fa ma come il caldo è percepito in relazione all'umidità dell'aria si ricorre a un indicatore specifico, la temperatura di bulbo umido (wet bulb temperature), ossia il valore che indicherebbe un termometro se misurasse la temperatura esterna con una garza umida avvolta attorno. In questo modo, si riesce a stimare quale sarebbe la temperatura della nostra pelle se stessimo costantemente sudando come avviene in condizioni di calore estreme. La temperatura esterna effettiva dell'aria - quella che comunemente usiamo per indicare quanto caldo fa - è invece di norma misurata "a secco", con un termometro normale.
A quale temperatura si situa, il limite? Una temperatura di bulbo umido di 35 °C indica il limite massimo di tolleranza umana al calore, perché al di sopra di essa, non riusciamo a sudare abbastanza (o meglio: non possiamo sudare più di quanto già non facciamo) per raffreddare l'organismo. Non significa che in queste condizioni moriremmo seduta stante, ma piuttosto che da quel momento in avanti l'organismo inizierebbe a risentirne e occorrerebbe mettersi al riparo.
I parametri per arrivare a una temperatura di bulbo umido di 35 °C, o se preferite a una temperatura percepita incompatibile con la sopravvivenza, variano: se per esempio il Sole è alto nel cielo, non c'è vento e l'umidità è al 50%, si arriva al "limite" quando il termometro tradizionale segna circa 42 °C, mentre se l'aria è secca e non c'è umidità ci si arriva a 54 °C. Alcuni modelli climatici ipotizzano che raggiungeremo questa pericolosa soglia alla metà del secolo, per altri, invece, la temperatura di bulbo umido è già stata raggiunta in alcune occasioni in alcune località subtropicali e diventerà sempre più frequente.
Fino a un certo punto, il corpo umano è in grado di proteggersi dalle temperature estreme acclimatandosi. Le persone acclimatate al calore perché abituate a sopportare temperature elevate sudano di più, ma il loro sudore è più diluito: disperdono meno elettroliti (minerali) e rischiano meno di finire disidratati. Ecco perché le ondate di calore in aree geografiche generalmente fresche, come il Canada, sono in genere più letali.
i rimedi da prendere. In ogni caso l'organismo umano non è in grado di acclimatarsi fino alle temperature estreme favorite dal global warming. Con ondate di calore sempre più frequenti e distruttive, dovremo adattare anche comportamenti, spazi urbani e infrastrutture per ridurre i decessi dovuti agli estremi climatici.
Intanto, gli effetti diretti delle ondate di calore si fanno sentire sulla vita animale, più fragile ed esposta ai capricci del clima causati dall'uomo. In base ad alcune stime preliminari condotte da biologi marini della British Columbia (Canada) e riportate dal New York Times, la recente ondata di calore su Canada e Nord America ha provocato un'ecatombe tra i bivalvi, i crostacei e le stelle marine che popolano le acque poco profonde della costa del Pacifico.
Bolliti dal caldo. Si stima che le temperature anomale abbiano letteralmente "cotto" centinaia di milioni di esemplari, a partire dalle cozze e dai cirripedi rimasti esposti al calore esterno durante le ore di bassa marea. Un danno ecologico incalcolabile, se si considera che i molluschi sono anche l'alimento di base di uccelli migratori come le anatre marine, che fanno tappa nel Pacifico occidentale in inverno per rifocillarsi prima di migrare nell'Artico durante l'estate, e che quest'anno resteranno a pancia vuota.
E se i mari ribollono, i fiumi non sono da meno: la coda dell'ultima ondata di calore negli USA minaccia la sopravvivenza dei salmoni, che dai corsi d'acqua dolce dell'interno affrontano un'epica migrazione fino al mare, dove crescono e raggiungono la maturità prima di risalire le correnti e tornare ai fiumi per deporre le uova. Acque troppo calde rallentano i movimenti dei pesci e riducono le possibilità di sopravvivenza di uova e larve. In alcune zone, come nella valle centrale della California, ci si aspetta una mortalità del 90%.