Addio gamberetti in salsa rosa, fritto misto e pesce al cartoccio. È quello che forse saremo costretti a dire fra un po’ di tempo. Nel 2048, infatti, potrebbe non esserci più nemmeno l’ombra di un crostaceo, un calamaro o un branzino.
I ricercatori della Stanford University, per la prima volta hanno cercato - comparando dati attuali con quelli di migliaia di anni fa e numerosi studi differenti - di capire la produttività degli oceani, provando anche a prevederne il futuro.
Un buon ecosistema marino, riesce a mantenere i pesci in salute e a farli sopravvivere, anche dove ci sia una pratica eccessiva della pesca. Attualmente però, a causa dell’inquinamento, ci sono pochissimi sistemi ancora sani. E lo dimostrerebbe il fatto che dal 1950 ad oggi, il 29 per cento delle specie marine, usate per il commercio, hanno subito un collasso, in certi casi anche del 90 per cento.
Per arrestare il declino, secondo gli autori della ricerca, è necessario creare delle aree protette, dove sia salvaguardata la biodiversità e dove specie sull’orlo dell’estinzione, possano ricominciare a svilupparsi. Un processo abbastanza veloce: secondo i calcoli degli scienziati, con un buon ecosistema in tre, cinque, al massimo dieci anni, si potrebbero ripopolare di pesce molte zone.