Il mercurio prodotto dall'uomo riesce ad arrivare fino al luogo più inaccessibile e profondo degli oceani, scroccando un passaggio nelle carcasse dei pesci morti. Si pensava che il grosso della contaminazione da mercurio, un metallo tossico prodotto dalle attività umane, fosse confinato ai primi mille metri degli oceani, i più vicini alla superficie. Ma non è così: due nuovi studi rilevano presenza di mercurio nella Fossa delle Marianne, a quasi 11.000 metri di profondità. E anche in questo caso, c'è di mezzo la mano dell'uomo.
Il viaggio del mercurio. Le emissioni atmosferiche di mercurio sono prodotte soprattutto dalle centrali a carbone, dalle estrazioni minerarie, dai cementifici, dagli inceneritori e da altre attività dell'uomo. Ogni anno oltre 2.000 tonnellate di questo mercurio di origine inorganica si depositano sulla terraferma e sulla superficie degli oceani, dove sono convertite in una forma altamente velenosa, il metilmercurio, che si accumula nell'organismo dei pesci e in altri animali marini. Il mercurio arriva negli oceani attraverso la pioggia, trascinato dal corso dei fiumi o trasportato dal vento.
carcasse dei pesci. Uno studio pubblicato a luglio aveva ipotizzato che il mercurio "piovesse" nelle fosse oceaniche attraverso microparticelle di materia organica costituite da residui di plancton oceanico o da materia fecale. Ma una nuova ricerca uscita su PNAS, ipotizza che la spiegazione più probabile di questo mercurio "profondo" siano le carcasse dei pesci che, prima di morire e sprofondare, si sono nutriti vicino alla superficie. È così che la velenosa eredità dell'uomo raggiunge i fondali oceanici.
traccia inconfondibile. Gli scienziati dell'Università del Michigan hanno analizzato la composizione isotopica del metilmercurio estratto dai resti di pesci abissali e crostacei ritrovati nella Fossa delle Marianne (nel Pacifico nord-occidentale) e nella Fossa delle Kermadec (10.047 metri di profondità), al largo della Nuova Zelanda. Il bilanciamento tra isotopi costituisce una firma chimica che permette di risalire alla provenienza di una certa sostanza.
Il mercurio che aveva avvelenato questi animali era lo stesso ritrovato in pesci che vivono vicino alla superficie del Pacifico, a circa 500 metri di profondità, ed è invece diverso da quello trasportato sul fondo dagli organismi planctonici. C'è quindi una corrispondenza tra il mercurio ritrovato in profondità nei pesci morti e quello presente nei pesci in acque meno profonde. E in ogni caso la fonte contaminante siamo (ancora una volta) noi.