Secondo una ricerca del 2015 firmata dall'UNICEF e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, in quell'anno il 91% della popolazione mondiale risultava aver accesso a fonti di acqua potabile migliorate rispetto a quelle disponibili alcuni anni prima, anche se molto rimaneva (e rimane) da fare sul fronte dei servizi igienici. Uno studio appena pubblicato dal World Resources Institute, però, smorza parte dei passati entusiasmi mettendo in evidenza il perdurare del problema dell'accesso all'acqua potabile nelle aree urbane, e in particolare in 15 megalopoli di quello che la World Bank chiama il Global South: paesi di Asia, Africa, America Latina e Caraibi nei quali il reddito medio è ancora assai basso (il termine Global South sostituisce quello che un tempo si chiamava il Terzo Mondo).
Le città esaminate sono: San Paolo, Rio de Janeiro, Cochabamba, Santiago de Cali e Caracas in America Latina; Lagos, Mzuzu, Maputo, Nairobi e Kampala in Africa subsahariana; Karachi, Mumbai, Colombo, Bengaluru e Dhaka in Asia.
Il fattore demografico. Il problema dell'acqua potabile è mondiale: oltre 800 milioni di persone (l'11% della popolazione mondiale) non hanno accesso a un adeguato approvvigionamento idrico. Non a caso, tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile stilati dalle Nazioni Unite ce ne è uno, il numero 6, che auspica che entro il 2030 sia possibile garantire a tutti l'accesso universale ed equo all'acqua potabile.
Ma nelle grandi città del Global South la situazione è ulteriormente esacerbata dalla rapida crescita della popolazione: secondo stime delle Nazioni Unite, entro il 2050 ben 6,7 miliardi di persone vivranno in agglomerati urbani. E ad aggravare la situazione ci si metteranno anche i cambiamenti climatici, che metteranno ulteriormente a rischio le fonti idriche cui le città attingono.
Se arriva, per quanto arriva? Il rapporto descrive appunto le tipologie di approvvigionamento idrico nelle 15 grandi città di Paesi in via di sviluppo. Si parte dall'acqua convogliata da sistemi di tubature più o meno regolari: le città dell'Africa Sub-Sahariana sono le più penalizzate (solo il 22% delle famiglie riceve acqua), seguite dalle metropoli dell'Asia meridionale (63%) e da quelle dell'America Latina, dove le condizioni sono, in genere, migliori che altrove (97% delle famiglie). Ma anche dove l'acqua arriva tramite una rete più o meno strutturata, c'è un problema: la fornitura è intermittente. Solo tre città garantiscono ai cittadini la fornitura continua: Colombo in Sri Lanka, San Paolo in Brasile e Santiago de Cali in Colombia. Per le altre la situazione è critica, con punte disastrose a Karachi e Bengaluru, dove la disponibilità d'acqua tocca picchi negativi di due ore al giorno per soli tre giorni la settimana.
E basta.
Costi insostenibili. Senza contare che, laddove l'acqua giunge a intermittenza, il rischio che sia contaminata aumenta moltissimo: i cali di pressione nelle tubature, infatti, consentono l'ingresso a liquami, acqua piovana e ad altri contaminanti. Almeno, si potrebbe pensare, esistono i venditori ambulanti che portano l'acqua fino alle abitazioni mediante grosse cisterne. Peccato che in questi casi il costo dell'oro blu sia 52 volte superiore a quello degli impianti idrici municipali.
Ma anche senza ricorrere ai commercianti d'acqua, il rapporto sottolinea come le stesse reti municipali siano, in genere, troppo care, costringendo le famiglie a esborsi mensili superiori a quel 3-5 per cento che, secondo il rapporto, un nucleo familiare dovrebbe spendere per avere l'acqua a disposizione.
Come intervenire? Quattro, piuttosto ovvi, i suggerimenti che il rapporto offre per arginare questa situazione. Il primo è quello di ampliare la rete idrica urbana in modo da garantire a un numero di persone sempre maggiore l'accesso alla risorsa. Il secondo riguarda una migliore gestione delle forniture intermittenti: se gli utenti sapessero in anticipo quando l'acqua è a disposizione eviterebbero di perdere tempo in code e spostamenti e potrebbero dedicarlo ad altro. Va da sé che una più regolare manutenzione delle tubature sarebbe già un gran bel passo avanti.
Il terzo suggerimento riguarda la necessità di perseguire strategie diversificate per ridurre il costo dell'acqua, mentre spetta ai governi locali e nazionali l'onere di migliorare la fornitura idrica anche per chi vive in insediamenti informali (baracche, slum) dove, in aggiunta, anche le condizioni sanitarie sono estremamente carenti. Perché l'acqua non è una merce, ricordano gli autori del rapporto, ma un bene comune e un diritto di ognuno.