I cambiamenti climatici stanno accelerando la fusione dei ghiacciai di tutto il mondo, resi sempre più sottili e fragili. Di questo secondo elemento "strutturale" si sente parlare un po' meno spesso: le alte temperature hanno infatti un impatto non solo sull'estensione totale dei ghiacci ma anche sulla loro architettura, rendendo più probabili crolli come quello del 3 luglio 2022 sulla Marmolada. Che cosa è accaduto sul ghiacciaio del gruppo montuoso più alto delle Dolomiti? In che modo il distacco del seracco è legato alla crisi climatica, e all'ondata di calore che ha investito l'Italia nelle ultime settimane?
Due mesi di caldo anomalo. «Crolli e instabilità avvengono di continuo sui ghiacciai, che sono per definizione in movimento» spiega a Focus.it Fabrizio De Blasi, ricercatore dell'Istituto di Scienze Polari del CNR (ISP-CNR) con sede a Venezia, «ma non è un caso che questo sia successo dopo oltre 60 giorni in cui le temperature medie mensili sono rimaste superiori di oltre 2 °C alla temperatura media registrata in loco nel 2008-2021». Un picco di calore, quello di maggio-giugno, in anticipo di un paio di mesi: il ghiacciaio della Marmolada appare oggi come dovrebbe apparire in agosto.
Presenza d'acqua. «A questo caldo precoce c'è da aggiungere una forte siccità avvenuta tra ottobre e aprile: in autunno e in inverno è caduta pochissima neve», con un accumulo invernale del 40-50% peggiore rispetto alla media degli ultimi anni, in base alle misurazioni effettuate dalla provincia di Trento nelle scorse settimane. Così il ghiacciaio ha accumulato energia termica che in qualche modo doveva liberare.
«È probabile che si sia formata una sacca d'acqua che dalla superficie si sia insinuata in un crepaccio creatosi in un punto in cui la roccia e il ghiacciaio stesso cambiano pendenza. Poiché il ghiacciaio non è plastico, nei punti di discontinuità della pendenza necessariamente si frattura. Inserendosi nel crepaccio, l'acqua ha da un lato aumentato la pressione sulle pareti di ghiaccio e dall'altro agito da lubrificante tra il ghiaccio e il sostrato roccioso».
La prima volta. Da qui il crollo, che ha interessato una placca sommitale di circa 2 ettari e mezzo a 3.200 metri di quota, di cui è collassato circa il 30%. «I distacchi in corrispondenza dei crepacci avvengono naturalmente, quando la frattura taglia longitudinalmente e fino in fondo il ghiacciaio. Ma il crollo in Marmolada è stato accelerato da calore e siccità legati ai cambiamenti climatici», chiarisce De Blasi.
In che modo il fenomeno stia accelerando è ancora oggetto di studio. «Il ghiacciaio della Marmolada non ha una memoria storica di crolli simili, perché eventi di questo tipo non si erano mai verificati. Diversa è la situazione di altri sorvegliati speciali come quello di Planpincieux (sul Monte Bianco, in Valle D'Aosta) che sono costantemente monitorati. Del rapido movimento di quest'ultimo si era parlato nel 2019 e in questi giorni è tornato a essere sotto stretta osservazione».


Un ghiacciaio a rapida scomparsa. Le variazioni del volume dei ghiacci della Marmolada sono invece misurate in modo puntuale. Per la sua configurazione il ghiacciaio è molto sensibile ai cambiamenti delle temperature ed è considerato una sorta di termometro naturale della crisi climatica. Le rilevazioni dal 1902 a oggi non lasciano molte speranze: il ghiacciaio al confine tra Trentino e Veneto ha perso l'80 per cento del suo volume di massa glaciale negli ultimi 70 anni e potrebbe scomparire nell'arco di 15 anni.
Anche i dati sulla superficie segnano un punto di non ritorno. Per Mauro Varotto, responsabile scientifico del Museo di geografia dell'Università di Padova e docente di Geografia nello stesso ateneo, «nel corso di un secolo abbiamo assistito a un dimezzamento, passando da 412 ettari nel 1905 a circa 200 ettari all'inizio degli anni Duemila. Il ghiacciaio ha impiegato un secolo per perdere la metà della propria superficie e poi, negli ultimi 20 anni, la superficie rimasta si è ulteriormente dimezzata». E la sua perdita accelera: oggi se ne vanno almeno 9 ettari all'anno di ghiaccio.
Frane e siccità. Questo fenomeno riguarda i ghiacciai di tutto l'arco alpino che, in base a un'analisi pubblicata qualche tempo fa su Nature Communications, a causa delle nostre emissioni climalteranti dal 2000 al 2014 hanno perso un sesto del loro volume totale.
«Da decenni i cambiamenti climatici stanno influenzando le montagne italiane, con un aumento della temperatura più del doppio di quella globale», spiega a Focus.it Valter Maggi, docente di Geografia Fisica e Geomorfologia all'Università di Milano Bicocca. «Tutti i ghiacciai si stanno ritirando, e chiaramente la stagione sfavorevole che stiamo vivendo amplifica questo effetto. I cambiamenti climatici agiscono su ghiacciai riducendoli in dimensione e relegandoli alle quote più elevate delle montagne che, notoriamente presentano le pendenze maggiori. L'innalzamento della quota segue anche l'innalzamento della isoterma di 0°C (ossia l'altitudine minima alla quale la temperatura raggiunge il valore di 0 gradi Celsius in un'atmosfera libera, ndr) che, se supera la cima delle montagne, chiaramente porta a fusione una maggior quantità di acqua che può accelerare il flusso del ghiacciaio».
Le conseguenze si ripercuotono anche a valle: non solo sulla sicurezza di alpinisti ed escursionisti ma anche sull'incolumità di chi vive a ridosso dei ghiacciai. La caduta di materiale nei laghi proglaciali può provocare frane e inondazioni. C'è poi il tema della siccità, così attuale visto lo stato del fiume Po. D'estate, le acque di fusione contribuiscono a tener vivo il deflusso fluviale e a rimpinguare le falde di pianura. Con la scomparsa dei ghiacciai avremo anche una netta riduzione delle riserve idriche.