Roma, 11 feb. - (AdnKronos) - "La baleniera giapponese stava già arrivando. Per non farci intercettare siamo stati nascosti per due giorni dietro un iceberg, in modo che i radar della baleniera intercettassero l'iceberg e non la nostra nave. Il pomeriggio del secondo giorno, attorno a noi hanno iniziato a nuotare le balene. Era impossibile non ammirarle, anche mentre lavoravamo...". In questo ricordo di Caterina Nitto ci sono molti degli elementi che caratterizzano la vita degli attivisti ambientalisti: la preparazione di un'azione, le lunghe navigazioni e le attese, il freddo estremo, l'emozione di fronte alla natura. (SCHEDA)
Turni massacranti sul ponte di comando, abitudini stravolte, condizioni meteorologiche estreme, regole ferree a cui attenersi. L'attivismo non è proprio una passeggiata, per alcuni versi somiglia di più alla vita militare. Perché raggiungere un obiettivo richiede non solo passione, ma anche abnegazione e sacrificio. E lei, Caterina Nitto, è "una delle migliori espressioni della rigorosa filosofia di Greenpeace", secondo Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo dell'associazione in Italia. (VIDEO)
La sua storia, raccontata nel libro "Una vita da attivista" (Mondadori), inizia da adolescente, alla fine degli anni '80. Un libro scritto da un'attivista per gli attivisti. Il messaggio? Chiunque può fare qualcosa, anche senza arrivare in Antartide. Pur tenendo presente che "quello che io posso fare da sola, vale uno; quello che posso fare, avendo alle spalle una grande associazione, può valere 100".
"Io non sono uno scienziato - racconta la Nitto presentando il suo libro nella sede di Greenpeace a Roma - non ho studiato e non so i numeri. Sono ambientalista e attivista perché sento che è giusto così, perché quando vedo una tartaruga con il carapace a forma di bottiglia, perché è all'interno di una bottiglietta di plastica buttata via che l'animale è cresciuto, non posso non pensare di essere nel giusto".
Per lei l'attivismo si sposa con la passione per la nautica. Skipper di formazione, la sua attività si è svolta principalmente a bordo delle navi di Greenpeace, come ufficiale di rotta: tre anni sulla Esperanza (la rompighiaccio di Greenpeace, come la Arctic Sunrise), altri due sulla Rainbow Warrior 2. E a bordo la vita non è semplicissima.
"Si seguono regole ferree - racconta - non solo per quanto riguarda turni e mansioni ma anche nell'utilizzo della lavatrice o nei pasti, secondo le linee guida dell'associazione in tema di risparmio energetico e alimentazione". Non si mangia pesce, ma neanche esclusivamente vegetariano o vegano (come succede invece a bordo delle navi di Sea Shepherd).
"Ospitiamo persone che vengono da culture diverse e cerchiamo di rispettare tutti. Però, quando c'è carne nel menu ci assicuriamo che venga da allevamenti non intensivi", sottolinea.
Regole, ma soprattutto tante soddisfazioni. Le azioni più emozionanti? "Quelle dedicate alle balene, ma anche quelle in Giappone o India in collaborazione con piccole realtà locali che non hanno alle spalle un 'brand' come il nostro a tutelarli e proteggerli. Sono loro i veri eroi".
Dopo tanti anni a bordo, oggi si occupa di formazione nautica, insomma: è lei che insegna ai volontari a guidare gli ormai famosi gommoni dell'associazione. Ma in tutti questi anni, come è cambiata la vita degli attivisti? "All'epoca andavamo allo sbaraglio, mentre oggi si fa più formazione, un aspetto per il quale mi sono molto battuta perché il mare non perdona. E' stato studiato un metodo didattico internazionale, visto che l'associazione è presente in tutto il mondo e le campagne raccolgono volontari da Paesi diversi".
Ed è proprio quella dedicata alla formazione la campagna che manca in Italia. "Manca una campagna che si occupi seriamente di educazione ambientale (che io chiamerei 'educazione civica') nelle scuole, come fa Greenpeace in Germania. Questo, tra l'altro, è il momento giusto per indicare le linee guida".