Ecologia

Lockdown e inquinamento in Cina: il verdetto finale

Davvero il lockdown ha nettamente migliorato la qualità dell'aria in Cina? In realtà, ozono e polveri sottili sono diminuiti solo in minima parte.

Il rigido lockdown osservato in Cina nella primavera 2020 ha causato soltanto una modesta riduzione degli inquinanti atmosferici: è il verdetto di uno studio pubblicato su Environmental Research Letters, che mette in guardia dalla tentazione di trarre facili conclusioni sui "benefici" ambientali delle chiusure prolungate sull'ambiente. Se infatti la riduzione di alcune sostanze altamente irritanti per le vie respiratorie, come il biossido di azoto, è stata sostanziale, non altrettanto si può dire di quella delle polveri sottili e dell'ozono superficiale.

Esperimento involontario. I ricercatori delle Università di Leeds (Regno Unito) e della Southern University of Science and Technology in Cina hanno analizzato le concentrazioni di inquinanti rilevate da 1300 stazioni di monitoraggio sul territorio cinese. Nonostante i recenti miglioramenti della qualità dell'aria, l'inquinamento atmosferico potrebbe essere ancora all'origine del 12% dei decessi annuali in Cina (dati 2017). Studiare gli effetti delle imponenti misure di controllo prese in fase di lockdown potrebbe fornire spunti utili per futuri provvedimenti a favore dell'ambiente.

Il team ha usato una serie storica di misurazioni dello smog tra il 2015 e il 2020 per isolare i cambiamenti strettamente legati al lockdown - e non, per esempio, al cambio delle stagioni o a ricorrenze nazionali come il Capodanno lunare (periodo nel quale le emissioni sono di solito più basse per la chiusura delle aziende).

Una bella ripulita. Durante il periodo del lockdown in Cina, dal 23 gennaio al 31 marzo, le più massicce riduzioni hanno riguardato il biossido di azoto (NO2), un gas altamente tossico e inquinante che tende a rimanere vicino al suolo, prodotto da tutti i processi di combustione. Le sue concentrazioni sono calate in media del 27% in tutta la Cina, con le diminuzioni più evidenti nella provincia dell'Hubei (quella di Wuhan) dove le quantità di questo gas sono apparse, durante il lockdown, inferiori del 50,5% rispetto al solito.

In Cina, le emissioni di ossidi di azoto sono legate per il 35% ai trasporti, per un altro 35% alla produzione industriale e per il 19% alla generazione di energia, tutti settori largamente interessati dal lockdown. Inoltre, a differenza della CO2 (per la quale non si è registrata una vera riduzione, anzi) questi composti hanno vita breve nell'aria.

Difficili da scalfire. Le polveri sottili più fini di 2,5 micrometri (PM2.5) hanno registrato una riduzione più modesta, dell'11% in tutta la Cina (ma nessun calo nel nordest del Paese): potrebbe dipendere dal fatto che questo particolato estremamente dannoso per la salute è molto influenzato dalle emissioni domestiche, meno toccate dai provvedimenti del lockdown.

Le chiusure non sembrano invece aver scalfito le concentrazioni di ozono superficiale - diverso dall'ozono "buono" della stratosfera, che ci protegge dai raggi UV; questo inquinante secondario, noto anche come smog fotochimico, è un prodotto delle reazioni chimiche tra inquinanti primari che si svolgono in atmosfera in presenza di luce.

2 agosto 2020 Elisabetta Intini
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