Pensiamo sempre agli alberi come a qualcosa di statico e immobile. Non è così. Cambiano, a un ritmo più lento del nostro, e all'improvviso per calamità naturali. Ma i boschi resistono, e si adattano; anche se i mutamenti del clima li stanno mettendo a dura prova. Lo spiega bene Giorgio Vacchiano nel suo libro La resilienza del bosco (Mondadori), di cui vi proponiamo in esclusiva un capitolo, il settimo, in versione audiolibro.
Vacchiano si trova in Patagonia, sta per iniziare un'escursione nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno. Partendo dal racconto di questo momento, l'autore inzia a spiegare i confini che esistone tra le piante stesse.
Uno che lascia il segno. Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale presso l'Università Statale di Milano, da anni studia modelli di simulazione in supporto alla gestione forestale sostenibile. Si occupa anche di comunicazione e divulgazione scientifica e nel 2018 è stato nominato dalla rivista Nature tra gli 11 migliori scienziati emergenti nel mondo che "stanno lasciando il segno nella scienza".


Le storie che racconta nel suo libro parlano di piante, boschi, foreste, ma soprattutto di noi, di come sapremo immaginare il nostro futuro in relazione all'ambiente che ci circonda. Descrive le sue peregrinazioni in giro per il mondo, al cospetto delle foreste più belle e importanti della terra. Tra queste quella che lo ha colpito di più è la foresta pluviale temperata del Pacifico, che ha visitato più volte tra California e Canada occidentale.
«La racconto in un capitolo del libro» spiega a Focus. «È l'ecosistema con più biomassa al mondo per unità di superficie - in ogni metro quadrato contiene più foglie, tronchi e radici che in un metro quadrato di foresta amazzonica. L'acqua che evapora dall'oceano e ricade continuamente sulla foresta, sotto forma di pioggia o nebbia, dà l'idea di essere immersi in un un grande ciclo: il Pacifico rumoreggia a pochi metri dal bordo della foresta, ed è la sua acqua quella che ricade dall'alto. Con tutta quell'acqua, gli alberi raggiungono altezze incredibili, alcuni superano i centodieci metri (due volte la torre di Pisa). Il terreno è coperto da tronchi caduti, sui cui resti si affollano le nuove piantine, a trarre vita dalla morte».
Il libro sembra un atto d'amore per le foreste. Gli chiediamo dunque che cosa lo abbia spinto a dedicare la sua vita di scienziato a questi ecosistemi (e a scrivere un libro divulgativo su di loro).
«Ho frequentato e amato la natura fin da piccolo, nelle estati trascorse in famiglia sulle Alpi piemontesi e valdostane» ci racconta. «All'ultimo anno delle superiori, a Torino, non avevo ancora deciso a quale facoltà iscrivermi: determinante nella scelta è stato il mio professore di scienze, che si era laureato in scienze forestali e mi spiegò che lì si imparava non solo a conoscere la natura, ma anche a lavorare insieme a lei per il bene di entrambi - alberi e uomini. L'umanità e gli ecosistemi. Vederli divisi mi ha sempre lasciato insoddisfatto: ho scoperto invece che siamo continuamente connessi con il mondo naturale, anche se spesso non ce ne rendiamo conto, e che ciò che fa bene al pianeta fa bene, se si guarda bene, anche a noi. E nella seconda parte del libro ho cercato di evidenziare i mille fili invisibili che ci legano alla foresta e quanto gli ecosistemi siano necessari alla nostra vita, quanto siano determinanti alla nostra sopravvivenza (penso alla fornitura d'acqua, di cibo, di energia, di frescura, di ristoro fisico e spirituale...)».