Dopo aver contaminato un fiume e un grande lago nel nord della Russia, ora il gigantesco sversamento di gasolio, provocato dal cedimento dei piloni di sostegno di una cisterna il 29 maggio scorso, fluisce inarrestabile verso l'Oceano Artico (Mar Glaciale Artico). Si parla adesso di 21.000 tonnellate di carburante in acqua, nel fiume Ambarnaya e in direzione dell'Oceano, e di 23.000 metri cubi finiti direttamente nel suolo circostante l'impianto della Norilsk Nornickel, in prossimità della cittadina siberiana di Norilsk. Il carburante fuoriuscito con lo sversamento, che adesso è considerato il più grande e grave mai avvenuto nell'ultimo secolo nella regione artica della Russia, ha già percorso quasi indisturbato 20 km verso nord, in direzione del mare.
È colpa del caldo. Sembra ormai accertato che la causa dell'incidente sia molto strettamente correlata alla drammatica situazione climatica delle ultime settimane nell'Artico, dove le temperature erano anche di 10 °C sopra le medie. Il caldo ha portato allo scioglimento o alla profonda degradazione del permafrost, ossia del suolo che permanentemente ghiacciato (anche in assenza di acqua), che ha portato allo sprofondamento dei piloni di sostegno del serbatoio e al suo rovesciamento.
Il carburante è finito nel fiume Ambarnaya, poi nel lago Pjasino - il cui emissario, il fiume Pjasina, sfocia nel Mare di Kara, porzione meridionale dell'Oceano Artico. Solitamente il Pjasina è ghiacciato da ottobre a giugno, ma non così quest'anno, ancora a causa del periodo estremamente caldo iniziato a metà maggio. «Il lago è molto bello», commenta Alexander Uss, governatore della regione e presidente dell'università federale siberiana: «è noto per la sua ricca biodiversità... Stiamo facendo tutto il possibile per salvarlo, e anche per bloccare il gasolio prima che finisca in mare.»
E di chi è la colpa per il caldo? «Anche se si riuscirà a fermarlo, lo sversamento ha già creato problemi che già si riflettono e si rifletteranno sulle risorse idriche e sulla fauna e sulla flora degli ambienti dei fiumi e del lago», afferma Vasily Yablokov, di Greenpeace Russia: «è un disastro paragonabile solo a quello del 1989, quando davanti all'Alaska la Exxon Valdez riversò in mare 40 milioni di litri di petrolio». L'incidente riporta alla ribalta la gravissima questione dello scioglimento del permafrost (il tipo di suolo d
el 55 per cento della Siberia): un problema noto da tempo, che nel 2017 un rapporto molto completo dell'Arctic Monitoring and Assessment Programme tentava di portare all'attenzione del mondo.