Siamo allo sterminio biologico degli animali selvatici. Non è prassi accademica utilizzare termini così forti in una pubblicazione scientifica, ma Gerardo Ceballos, ecologo dell'Università Nazionale Autonoma del Messico, ha ritenuto che non sarebbe stato moralmente giusto servirsi di espressioni più sobrie per descrivere la situazione del nostro pianeta.
Lo scienziato ha guidato l'ultimo ampio studio sulla distribuzione e il calo demografico dei vertebrati terrestri, pubblicato su PNAS: una ricerca secondo la quale ci troveremmo in una fase già avanzata della sesta estinzione di massa (dopo quella che spazzò via i dinosauri, 65 milioni di anni fa).
Ecatombe democratica. Il lavoro parte dalla premessa che i resoconti delle singole estinzioni di specie già rare e minacciate non descrivano fedelmente il quadro attuale: a leggere le storie particolari di rinoceronti braccati, pinguini senza ghiacci e grandi carnivori decimati si ha quasi l'impressione si tratti di perdite graduali e isolate.
Invece non solo le specie a rischio si stanno estinguendo a ritmi sempre più veloci; ma un terzo delle specie che più di tutte si stanno assottigliando non è attualmente considerato minacciato (lo diverrà presto, andando avanti così). Inoltre, il 50% dei singoli esemplari animali è andato perduto negli ultimi decenni.
Di meno, e senza casa. Ceballos e colleghi hanno considerato un campione di 27.600 specie di vertebrati (mammiferi, rettili, uccelli, anfibi) censiti dalla IUCN, al quale hanno aggiunto i dati più dettagliati di 177 mammiferi terrestri studiati dal 1900 al 2015. Hanno così scoperto che l'assottigliamento della popolazione animale è estremamente alto anche per le specie che, per le attuali classificazioni, non destano preoccupazione.
Il 32% del campione di vertebrati considerato (circa la metà dei vertebrati terrestri) accusa perdite importanti sia nel numero, sia nel range di distribuzione. Tra le 177 specie di mammiferi studiati da vicino, tutte hanno visto ridursi di oltre il 30% le loro aree di residenza, e più del 40% ne ha perse oltre l'80% (con i danni peggiori registrati, nell'ordine, in Asia, Australia, Africa - seguono Europa e Americhe).
Le cause. Sotto accusa è la sovrappopolazione e la continua crescita del numero di esseri umani, che portano a sfruttamento eccessivo delle risorse, distruzione dell'habitat, caccia sconsiderata, inquinamento e invasione di specie aliene. L'uomo sarà anche colui che più di tutti ne pagherà le conseguenze, in termini di perdita di risorse alimentari e di degradazione degli ecosistemi.
L'uomo è però anche l'unico che può intervenire: se non altro con "cerotti" contenitivi come l'istituzione di più aree protette, una revisione dei consumi e leggi a protezione delle specie animali.