Giganteschi capannoni industriali convertiti in fattorie futuristiche: sono queste le fattorie verticali, nate una decina d'anni fa in Asia e USA. A Copenhagen, in Danimarca, ha aperto ora la più grande fattoria verticale d'Europa in 7.000 m² di spazio e 14 livelli di scaffalature sui quali si prevede cresceranno annualmente 1000 tonnellate di prodotti agricoli: 20.000 luci led speciali, attive 24 ore su 24, permetteranno la crescita dei semi, i cui prodotti verranno raccolti quindici volte l'anno.
Robot contadini. In questa fattoria avveniristica non ci sarà spazio per gli umani, il cui lavoro verrà sostituito da piccoli robot, che semineranno spostandosi da un corridoio all'altro. «Prevediamo di raccogliere 200 tonnellate di prodotto già nel primo quadrimestre del prossimo anno», ha dichiarato Anders Riemann, fondatore e direttore esecutivo della Nordic Harvest, proprietaria della fattoria verticale.
Gli agricoltori hanno accolto con diffidenza questa nuova realtà puntando il dito contro l'eccessivo consumo energetico, ma Riemann ribatte che le fattorie verticali sarebbero amiche dell'ambiente: acqua e fertilizzanti vengono riciclati, ed è bandito l'uso dei pesticidi.
Energia eolica. «Il 100% dell'energia che utilizziamo è di origine eolica, per cui non produciamo CO2», sottolinea. La fattoria della Nordic Harvest consuma appena un litro di acqua per chilo di prodotto, circa 250 volte meno di quanta ne venga utilizzata nelle coltivazioni tradizionali.
Non mancano tuttavia i detrattori, come Carl-Otto Ottosen, professore di agricoltura alla Aarhus University (Danimarca), che ha dichiarato: «La Danimarca non ha problemi di spazio: queste nuove aziende non minacceranno le tradizioni agricole danesi». Le fattorie verticali sono infatti un'ottima soluzione in particolare per le città, dove spesso i terreni sono piccoli e devono essere quindi sfruttati in altezza.
Questione di spazio. Per questo, sostiene Ottosen, questo tipo di agricoltura del futuro funziona in paesi come il Giappone o in città come Shangai, dove non vi è posto per coltivare e i consumatori cercano comunque un prodotto di qualità. I danesi, insiste il professore, «badano più al prezzo che alla qualità».