A furia di costruire strade abbiamo frammentato la superficie terrestre in 600 mila "fazzoletti", in gran parte troppo piccoli per supportare la vita selvaggia.
A tracciare l'impatto dell'urbanizzazione - e nella fattispecie della costruzione di arterie stradali - sulla Terra è uno studio internazionale pubblicato su Science e guidato dalla Eberswalde University for Sustainable Development (Germania), che ha analizzato due archivi open access e 282 pubblicazioni sulle strade che attraversano il mondo, per un totale di 36 milioni di km di asfalto.
Quel che resta. Ne emerge, in negativo, una mappa delle aree ancora libere dalle strade e dal corollario che queste portano con sé: urbanizzazione, inquinamento, attività estrattive, disboscamento. Più della metà dei 600 mila frammenti di superficie libera tra una strada e l'altra misura meno di un km quadrato. Solo il 7% si estende per più di 100 km quadrati, e solo un terzo delle aree libere è davvero "selvaggio" (le altre sono, per esempio, coltivate).
Dove si trovano. Gli ultimi grandi sprazzi di aree senza strada sorgono nelle foreste pluviali dell'Amazzonia e dell'Indonesia, nella tundra del nord della Russia e nelle foreste canadesi. Praticamente tutta l'Europa occidentale, gli Stati Uniti orientali e il Giappone rimangono senza aree totalmente libere da strade.
In futuro. Da qui al 2050, la lunghezza totale delle strade mondiali è destinata ad aumentare del 60%. Eppure finora solo il 5% delle aree rimaste libere gode di un'adeguata protezione legislativa. Secondo alcuni, inoltre, le stime della ricerca potrebbero essere persino ancora troppo conservative. Molte delle strade realizzate in Borneo per il commercio di olio di palma, per esempio, devono ancora essere registrate.