I più importanti negoziati sul clima degli ultimi quattro anni sono rinviati a data da destinarsi a causa della COVID-19. La tanto attesa COP26, la Conferenza delle Parti sul Clima fissata a partire dal 9 novembre 2020 a Glasgow, in Scozia, è stata rimandata a metà 2021, dopo una riunione virtuale tra il comitato decisionale e i rappresentanti della nazione ospitante.
In troppi e troppo vicini. La decisione era attesa da tempo ed è stata accolta con comprensione anche dalle organizzazioni ambientaliste. Trentamila persone, tra delegati, giornalisti e attivisti avrebbero dovuto soggiornare a Glasgow e lavorare in un centro esposizioni che è stato ora trasformato in ospedale provvisorio. Anche il centro congressi di Madrid che nel 2019 aveva ospitato la COP25 è ora utilizzato per curare i pazienti con COVID-19. Impossibile, con le misure di distanziamento fisico che verosimilmente ci accompagneranno a fasi alterne, finché non avremo un vaccino, immaginare di far confluire così tante persone nella stessa città.
Cambio di passo. I negoziati della COP26 avrebbero dovuto spronare i Paesi firmatari degli Accordi di Parigi a rivedere e rafforzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, un'operazione che va compiuta ogni cinque anni e che è ora necessaria: gli impegni volontari sottoscritti finora non sono sufficienti e ci stanno avviando a un futuro di oltre 3 °C di riscaldamento dall'era preindustriale.
Anche se il rinvio era inevitabile, data l'emergenza COVID-19, secondo i fautori della decisione questa cancellazione potrebbe trasformarsi in un'opportunità per fare meglio. La pandemia ci sta insegnando i valori della collaborazione e della solidarietà, cruciali per affrontare anche la crisi climatica. A emergenza conclusa, i governi di tutto il mondo dovranno investire massicce somme di denaro per ricostruire le ammaccate economie nazionali: i negoziati si terranno in quella fase, e potrebbero dirottare gli investimenti verso sistemi produttivi più sostenibili.