Quanti alberi ci sono al mondo? È con questa domanda apparentemente oziosa che è nata nel 2012 l'avventura di Thomas Crowther, l'ecologo che vuole contare le cose del mondo. Inglese, 33 anni, nel 2017 ha fondato presso la Scuola politecnica federale di Zurigo (ETH) il Crowther Lab, un laboratorio di ricerca con l'ambizioso sogno di trasformare l'ecologia attuale - che Crowther definisce «più simile alla storia naturale che alla vera scienza» - in una disciplina costruita su enormi quantità di dati ai quali dare un senso sfruttando intelligenza artificiale e machine learning perché, afferma, «è arrivato il tempo della Big Ecology».
E quanti vermi? Chi conosce Crowther ne parla come di un eccezionale "venditore" di se stesso, tanto da essere stato definito "l'Uber dell'ecologia" per il suo approccio anticonvenzionale e rivoluzionario, ma al di là delle dichiarazioni altisonanti l'ecologo inglese ha già prodotto una mole impressionante di risultati, anche prima di sbarcare a Zurigo. Era il 2015 quando pubblicò lo studio che rispondeva alla prima domanda: sulla Terra ci sarebbero tremila miliardi di alberi, non 400 miliardi come si stimava fino ad allora.
Quest'anno, invece, il Crowther Lab ha aggiornato il conto globale dei nematodi (sono 4,4 × 10^20: quattrocentoquarantamila milioni di miliardi) e creato una mappa con la distribuzione globale dei funghi delle micorrize (associazioni simbiotiche tra i funghi e le radici delle piante), e a luglio ha pubblicato uno studio nel quale si legge che "gli ecosistemi terrestri sarebbero in grado di sostenere la presenza di altri 1.200 miliardi di alberi": «dobbiamo smettere di parlare e cominciare a piantare», sono le parole di Crowther a riguardo.
Algoritmi e AI. Contare gli alberi non significa inoltrarsi nella giungla con un taccuino e tanta pazienza... o forse sì. L'approccio di Crowther è rivoluzionario perché non si basa esclusivamente sulle immagini satellitari, ma le incrocia con un'enorme mole di dati che arriva da conteggi diretti. I satelliti, infatti, non sono in grado di rilevare quanti alberi si nascondano sotto il manto forestale: Crowther ha così chiesto ad altri scienziati di condividere i dati derivanti da «studi diretti, fatti da chi è andato sul campo e ha contato e identificato ogni singolo albero».
Ottenuti questi dati - non senza difficoltà, perché gli scienziati sono spesso gelosi dei loro risultati - Crowther li ha dati in pasto ad algoritmi che hanno confrontato i dati sul campo con quelli satellitari e sono andati alla ricerca di nuovi schemi e correlazioni. In altre parole: le immagini satellitari contengono ini realtà molti più alberi di quello che appare, e i dati raccolti sul campo hanno insegnato a un algoritmo (è il machine learning) a stimare con una certa precisione quanti di più.
Non è solo curiosità. Gli studi di Crowther non sono solo un'affascinante esperimento e un modo per reinventare l'approccio all'ecologia: ci dicono anche molto su come funziona il nostro pianeta, e su che cosa possiamo fare per provare a fermare o mitigare i cambiamenti climatici. Prendete lo studio sui nematodi: il suolo e i suoi abitanti - vermi cilindrici (nematodi, appunto), funghi e batteri - rappresentano un'immensa riserva di CO2 il cui impatto ecologico è però sempre stato difficile da quantificare.
I dati prodotti dal Crowther Lab - che ha scoperto tra l'altro che i nematodi sono più abbondanti alle alte latitudini, dove contribuiscono a tenere sotto chiave le riserve di anidride carbonica delle regioni artiche e subartiche - hanno svelato le correlazioni tra la presenza dei vermi e lo stato di salute del suolo, fornendo un potente strumento predittivo per identificare dove il cambiamento climatico colpirà più duramente. L'ambizione di Crowther è quella di trasformare lo studio degli ecosistemi in una scienza costruita sull'analisi accurata di enormi set di dati, e di riuscire entro dieci anni a "quantificare l'ecologia terrestre". In altre parole, a contare il mondo.