Un Paese all'avanguardia quanto a tecniche agricole a basso impatto ambientale, ma sempre più distante da una cultura alimentare legata al territorio: è il quadro dell'Italia consegnato dal Food Sustainability Index (indice di sostenibilità alimentare), una classifica che mette a confronto 34 Paesi del mondo in base all'impatto ambientale e socioeconomico dei loro modelli alimentari.
Questo strumento messo a punto dall'Economist Intelligence Unit e dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, valuta i risultati raggiunti in tre ambiti cruciali per il futuro del Pianeta e di chi vi abita: l'agricoltura sostenibile, le sfide nutrizionali e gli sprechi alimentari.
Perché conta. Se si considera la sola regione del Mediterraneo, l'Italia è quarta nella classifica della sostenibilità alimentare, dopo Francia, Spagna e Portogallo. A condurci in alto è la voce dedicata all'agricoltura, mentre a spingerci verso il basso è il dilagare dell'obesità infantile.


Quest'ultimo tema è fortemente legato alla salute del Pianeta, e alla Giornata Mondiale dell'Ambiente, che si celebra il 5 giugno: le nostre scelte alimentari sono infatti responsabili di circa un terzo delle emissioni di gas serra di origine antropica, e i modelli di produzione messi in campo per soddisfarle incidono sull'uso che si fa di terra, acqua e altre risorse.
Tallone d'Achille. Se si considera l'indice parziale dedicato alle sfide nutrizionali, si nota che l'Italia è solo ottava (con un punteggio di 57,4 su un massimo di 100), dopo Francia, Portogallo, la Grecia "fresca" di crisi economica, Spagna, Israele, Turchia e Tunisia. Un risultato per certi versi sorprendente, date le risorse del nostro territorio, e motivato soprattutto da due fattori: la diffusione dell'obesità infantile e la carente educazione alimentare (perché la corretta nutrizione non viene quasi mai insegnata tra i banchi di scuola e perché sempre più persone si alimentano nei fast food).
Il peso ambientale. Parte del problema può essere correlato alla crisi economica del 2008-2009: nel nostro Paese vive sotto la soglia della povertà il 29% della popolazione, contro il 14% della Francia e il 19% del Portogallo. Gli italiani si discostano progressivamente dalla dieta mediterranea (quella che privilegia alimenti quali olio d'oliva, verdure, frutta, legumi, cereali e moderate quantità di pesce, carni bianche e prodotti caseari), un tipo di alimentazione che non solo riduce il rischio di malattie croniche e disturbi cardiovascolari, ma che ha anche un minore impatto ambientale.
Rispetto all'alimentazione a cui ci stiamo avvicinando, ricca di grassi animali, prodotti lavorati e carne rosse, la dieta mediterranea comporta un minore consumo di suolo, acqua ed energia, oltre ad avere un'impronta del carbonio più ridotta.
Sovrappeso e malnutriti. Con i prodotti scelti, cambia anche lo stile di vita. Se la dieta mediterranea si accompagna a un'attenzione alla coltivazione e alla preparazione del cibo, la crescente urbanizzazione, con abitudini di vita più sedentarie e la diffusione dei supermercati, stanno causando una transizione nutrizionale verso alimenti processati e subito pronti (magari consegnati a domicilio); ci si muove sempre meno, e di conseguenza, si diventa più facilmente sovrappeso.
Le conseguenze alimentari di questo stile di vita sono descritte dagli scienziati con il termine "fardello multiplo". Da un lato aumenta il numero di bambini sovrappeso, dall'altro cresce la malnutrizione cronica - per la carenza di vitamine e altri micronutrienti essenziali - che comporta, in alcuni casi, anche un ritardo dello sviluppo.
Poiché malnutrizione e povertà sono strettamente collegate, in Italia si assiste a un divario tra Nord e Sud anche per quanto riguarda i problemi nutrizionali: nella parte meridionale del Paese si registrano livelli di nutrizione più bassi, un più alto consumo pro capite di cibo da fast food e una maggiore incidenza di obesità infantile.
Una nostra responsabilità. Il risvolto ambientale di abitudini di consumo per la salute è particolarmente pressante nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, minacciati da cambiamenti climatici, degrado del suolo, carenza d'acqua e forti flussi migratori che aumentano la pressione esercitata sulle zone ad alto tasso di urbanizzazione. Occorrono capillari campagne di educazione pubblica, insieme a provvedimenti di legge più specifici e mirati alla tutela dei consumatori più giovani, per invertire, in positivo, le tendenze evidenziate.