You Might Not Want to Eat Bugs. But Would You Eat Meat That Ate Bugs? (Potresti non voler mangiare insetti, ma mangeresti carne che ha mangiato insetti?): è il titolo provocatorio di un recente articolo del New York Times dedicato al numero crescente di aziende e start-up impegnate nella produzione di alimenti per animali a base di insetti. Le circa 2.000 specie edibili di insetti sono ricche di proteine e micronutrienti, e relativamente facili da allevare con un impatto ambientale contenuto. Sarebbero alimenti ideali anche per noi, ma se sull'accettabilità di ali e zampette nel piatto dobbiamo ancora molto lavorare, nutrircene indirettamente - per esempio azzannando una coscia di pollo - potrebbe essere più facile.
Uno schema insostenibile. Attualmente il 70% della soia che cresce sulla Terra è destinato alla produzione di mangime per animali da allevamento, con un pesante impatto ambientale in termini di consumo di suolo, erosione della biodiversità delle aree verdi "ripulite" per far posto ai campi coltivati nonché spreco di calorie che potrebbero sfamare direttamente l'uomo. E il discorso non riguarda soltanto la soia.
Nell'acquacoltura e negli allevamenti intensivi di animali di terra come suini e pollame si utilizzano mangimi ottenuti, oltre che da soia e altre granaglie, da farine e oli di pesci poco richiesti dal mercato diretto e pescati al solo scopo di nutrire altri animali. Da anni Greenpeace denuncia lo sfruttamento di centinaia di migliaia di tonnellate di pesce potenzialmente idoneo all'alimentazione umana - il 12% del pescato - che viene invece sfruttato nell'industria dei mangimi.
Proteine alternative. La creazione di mangimi a base gli insetti per animali terrestri come polli e suini e per i pesci commestibili è stata a più riprese proposta dalla FAO come possibile soluzione. Ma è davvero questo, il futuro? Lo abbiamo chiesto a Costanza Jucker, entomologa del Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente (DeFENS) dell'Università degli Studi di Milano.
In che senso gli insetti sono efficienti convertitori di scarti alimentari in proteine animali? «Gli insetti, essendo pecilotermi (animali a sangue freddo), non hanno bisogno di consumare energia per mantenere la loro temperatura corporea. Questo è il motivo per cui quasi tutto il cibo di cui si alimentano viene trasformato in biomassa corporea. Per esempio il grillo ha un indice di conversione dell'alimento in biomassa (kg alimento fornito/kg peso vivo guadagnato) di circa 1,7, il pollame 2,5, i suini 5 e i bovini 10. Se consideriamo che gli insetti possono arrivare ad un contenuto proteico di oltre il 60%, e che fino all'80% del corpo di un insetto può essere consumato (altre specie tradizionalmente allevate arrivano al 40-55%), si comprende bene l'interesse sorto negli ultimi anni per un loro impiego come fonte proteica.
Si aggiunga che molti insetti, in particolare i ditteri (come le mosche, ndr), sono estremamente polifagi e quindi possono crescere su un'ampia gamma di substrati organici, sia di origine animale che vegetale, compresi gli scarti alimentari che possono in questo modo essere utilmente riutilizzati per un'economia circolare».
Gli insetti sono ugualmente nutrienti, rispetto ai mangimi a base di soia o alle farine di pesce, per tutti i tipi di animali da allevamento? «Certamente i prodotti derivati dagli insetti mostrano un grande potenziale per la nutrizione animale per superare problemi legati alla necessità di proteine e di natura ambientale. Sull'utilizzo di farine di insetti per l'allevamento zootecnico tradizionale ci sono numerose ricerche che riguardano pesci, avicoli e suini. Sui conigli ancora si sta lavorando poco, ma iniziano ad esserci alcune informazioni utili. Oggi (a partire da luglio 2017) gli insetti possono essere utilizzati solo per l'alimentazione di sette specie di pesci. Per l'allevamento di altre specie animali non è ancora consentito il loro impiego, ma si sta studiando molto per approfondire le conoscenze relative alle performance di crescita, la digeribilità, il benessere dell'animale, le caratteristiche organolettiche dell'alimento finale e l'accettabilità da parte del consumatore finale».
In che modo gli insetti potrebbero aiutare ad affrontare il problema della sicurezza alimentare (e quelli legati a emissioni/deforestazione)? «Con l'incremento della popolazione umana è necessario individuare nuove alternative per aumentare la produzione di proteine minimizzando l'uso delle risorse naturali. In particolare vi è la necessità di trovare altri ingredienti ricchi di proteine in alternativa per esempio alla farina di soia, ampiamente utilizzata nell'allevamento zootecnico e ittico, e che ha un alto livello di impatto ambientale. Nella produzione di insetti il consumo di acqua e di suolo risultano limitati, ma soprattutto vi è una forte riduzione nella produzione di gas serra e in generale nella richiesta di energia. Inoltre, bisogna considerare il fatto che gli insetti possono crescere, come già detto, su numerosi substrati organici che possono rappresentare scarti o sottoprodotti dell'industria agroalimentare e che non avrebbero magari altre possibilità di utilizzo. La sfida è proprio quella di individuare dei substrati di crescita per gli insetti che non siano in competizione con l'alimentazione dell'uomo o gli animali. Poiché la legislazione europea non consente l'allevamento di insetti (considerati animali) su qualunque tipo di substrato, la ricerca sta approfondendo queste tematiche. Per esempio il mio gruppo di ricerca è coinvolto in un Progetto finanziato da Fondazione Cariplo (MAIC: Modello Allevamento Insetti Commestibili), in cui tra gli obiettivi c'è l'individuazione di substrati a basso costo (sia in termini economici che ambientali) per l'allevamento di Acheta domesticus (il grillo del focolare)».
Non sarebbe più semplice ed economico, mangiarli direttamente? «Certo, questo è indiscutibile. Ma in Europa il livello di accettabilità nei confronti degli insetti come alimento sulle nostre tavole è ancora basso in quanto non fanno parte delle nostre abitudini alimentari. La maggior parte dei consumatori nel mondo occidentale reagisce ancora con disgusto e rifiuto. La neofobia alimentare, cioè la riluttanza a mangiare cibi non familiari, è uno dei fattori che maggiormente determina la resistenza dei consumatori ad accettare gli insetti come alimento. Certamente la possibilità di integrare gli insetti all'interno di un alimento più familiare (es. biscotto o cracker), rendendo così non visibile l'insetto, ne aumenta l'accettabilità. Per quanto riguarda il consumo di carne derivante da animali allevati con mangimi a base di insetti, qualche anno fa abbiamo svolto un lavoro su questo argomento e si è osservato che più della metà dei consumatori intervistati ha dichiarato di essere favorevole all'uso degli insetti nei mangimi destinati agli animali da allevamento, probabilmente perché pesci e altri animali (pollame, maiale) sono soliti mangiare insetti quando vengono allevati in ambienti naturali. In questo stesso studio abbiamo anche appurato come l'accettabilità aumentava una volta che le persone venivano informate sull'importanza dell'introduzione degli insetti come fonte proteica».
Mangimi a base di insetti possono comportare rischi per la salute animale e, indirettamente, umana? «Nel 2015 l'EFSA (European Food Safety Authority) ha pubblicato un importante documento sulla sicurezza degli insetti come cibo e mangime e ha chiaramente identificato alcune "mancanze" sulle conoscenze di possibili rischi chimici, microbiologici e di allergie derivanti dal consumo di insetti, sia da parte dell'uomo sia degli animali. La ricerca negli ultimi anni ha quindi rivolto l'attenzione allo studio di queste tematiche. Per esempio è emerso che cadmio e arsenico possono accumularsi dal substrato di crescita in Hermetia illucens (la mosca soldato nera) e in Tenebrio molitor (la tarma della farina), mentre l'accumulo delle micotossine è molto limitato. Così come appare chiara la possibilità di sviluppare allergie da parte dell'uomo. La potenziale presenza di rischi microbiologici per la salute umana negli insetti è influenzata, oltre che dalla microflora presente nell'insetto, anche dal substrato utilizzato e dalle fasi di lavorazione e conservazione. Tuttavia appropriati trattamenti termici possono ridurre i rischi microbiologici. Naturalmente occorre continuare ad indagare ancora sui diversi possibili rischi, che variano anche a seconda della specie di insetto che consideriamo, e sulla loro gestione, per esempio mediante appropriati processi industriali. Proprio a causa di tali incertezze gli insetti o i loro derivati non possono ancora essere commercializzati in Europa».
Quali sono oggi i maggiori ostacoli al decollo di questo settore? «I principali ostacoli al momento sono sicuramente quelli normativi. Ma non bisogna dimenticare che si tratta di un nuovo settore in Europa e quindi anche l'industria, che si sta notevolmente muovendo in questi ultimi anni, ha la necessità di mettere a punto la produzione su larga scala. Per esempio, da quanto si apprende, ci sono oggi mangimifici che sarebbero disponibili ad acquistare farine di insetti destinate all'acquacoltura, ma non vi è ancora una così alta disponibilità sul mercato in termini quantitativi (si parla di tonnellate di farina di insetto). E in Europa in ogni caso i costi di produzione sono ancora elevati, o comunque non concorrenziali con le farine di pesce e di soia normalmente utilizzate. Per il food, oltre alla normativa, c’è tutto l'aspetto legato alla neofobia alimentare e all'accettabilità da parte del consumatore. Ma in ogni caso sembrano esserci numerosi curiosi che aspettano l'ingresso degli insetti sulle le nostre tavole. La principale novità sugli insetti commestibili nell'UE è l'approvazione del Regolamento 2283/2015 che riguarda i novel food e già applicato da gennaio 2018. Il regolamento mira a semplificare la procedura per la richiesta di autorizzazione per l'allevamento e la commercializzazione degli insetti come food/feed e a introdurre una valutazione sulla sicurezza più rapida condotta dall'EFSA. I produttori di insetti, una volta inviata la richiesta, dovranno ricevere un'apposita autorizzazione per vendere i loro prodotti in Europa. In ogni caso, in Italia al momento non è possibile commercializzare alcun prodotto alimentare contenente insetti».
Esiste un rischio di introduzione di specie di insetti alieni o invasivi, mediante gli allevamenti destinati a produzione di mangime animale? «Sì, certamente. Quando si considera una specie da allevare, bisogna sempre tenere in conto dell'areale di origine e della possibilità che una specie, in un nuovo ambiente, possa diventare pericolosa e invasiva. Tuttavia le principali specie di interesse per l'entomofagia oggi allevate in Europa non presentano rischi di questo tipo in quanto sono comunemente presenti. Certo, se si volesse importare una specie esotica da allevare, bisognerebbe prendere tutte le precauzioni del caso, ma oggi non è semplice ottenere il via libera all'introduzione. Esiste infatti una normativa molto rigida che riguarda questo settore».