L'aria sopra la parte centrale dell'isola di Sumatra e sul Borneo indonesiano (Kalimantan) si è fatta irrespirabile per le dense colonne di fumo che si elevano dai quasi 2000 roghi al momento attivi in Indonesia. La tradizionale pratica che prevede di disboscare parti della foresta e poi bruciare il legname per ricavare terreno agricolo durante la stagione secca ha causato incendi ingovernabili, che hanno avvolto parti protette di giungla abitate da specie a rischio, e distrutto già oltre 800 mila ettari di aree verdi.
Questa tecnica è illegale, ma sempre più spesso utilizzata per fare spazio a nuove piantagioni di palme da olio e distese di legname da cui ricavare polpa di cellulosa per la carta. In base a quanto denunciato da Greenpeace, i responsabili sono i soliti noti, tuttavia nessuna delle dieci aziende di olio di palma con le maggiori aree di terreno in fiamme ha subito sanzioni negli ultimi anni, né tanto meno il ritiro della licenza.


Senza fiato. Dopo le piogge di mercoledì 25 settembre, i roghi visibili dall'alto risultavano circa 1800. Due giorni prima, erano 3300. Nonostante il fenomeno si ripeta ogni anno e sia ormai altamente prevedibile, il Paese non è preparato a farvi fronte. Spesso gli incendi divampano da aree remote difficilmente raggiungibili, dove vivono gli ultimi esemplari rimasti di tre specie di oranghi. Ma i disagi si fanno sentire anche nelle aree abitate, dove il cielo si è tinto di rosso per gli effetti di rifrazione dei raggi solari sulle minuscole particelle di cenere, e dove 920 mila persone hanno accusato difficoltà respiratorie.
Alcune organizzazioni stanno fornendo ossigeno a domicilio alle persone che non si trovano nelle condizioni per evacuare e cercare assistenza. Una situazione di una tale gravità non si osservava dal 2015, e in molti hanno paragonato la perdita di questa foresta alla drammatica situazione dell'Amazzonia.