Ecologia

L’impatto dei cambiamenti climatici sull’agricoltura europea

Il sesto rapporto dell'IPCC mette in evidenza la fragilità di fronte ai cambiamenti climatici del settore dell'agricoltura in Europa.

Uno degli errori più gravi che si possono fare quando si pensa ai cambiamenti climatici è quello di credere che noi europei, che viviamo in una regione del mondo tutto sommato protetta e soprattutto ricca, saremo immuni, almeno all'inizio, ai danni peggiori causati dal riscaldamento globale – e che anche sul lungo periodo al nostro continente verranno risparmiati i problemi più gravi. Nel caso foste tra quelli che cullano questa illusione, la pubblicazione della seconda parte del sesto rapporto dell'IPCC vi farà tornare bruscamente sulla Terra: l'Europa è a rischio tanto quanto il resto del mondo, ed è in particolare un settore centrale per l'economia continentale come quello dell'agricoltura che subirà le conseguenze devastanti del clima impazzito che ci aspetta nei prossimi decenni.

Che cos'è il sesto rapporto IPCC

L'IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, è un gruppo di lavoro a carattere scientifico formato dall'ONU nel 1988, in particolare da due agenzie: l'OMM, Organizzazione meteorologica mondiale, e l'UNEP, il programma dell'ONU per l'ambiente. L'IPCC non svolge attività diretta di ricerca ma piuttosto di compilazione e analisi della letteratura scientifica prodotta in tutto il mondo; e a intervalli più o meno regolari pubblica un rapporto che raccoglie tutte queste informazioni e le struttura sotto forma di analisi comparata e multidisciplinare, che permette di avere una visione globale di quelle che sono le cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici. L'IPCC è divisa in tre gruppi di lavoro: il primo, WGI, si occupa della scienza dura e pura, il secondo (WGII, quello che ha appena pubblicato il rapporto) degli impatti dei cambiamenti climatici sulla natura e sulla società, e il terzo (WGIII) si dedica alla loro mitigazione, in particolare a quella delle emissioni di gas serra. I tre gruppi pubblicano i loro rapporti a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, per poi pubblicare un rapporto finale di sintesi: finora ne sono usciti cinque, nel 1990, 1995, 2001, 2007 e 2013. AR6 è, come suggerisce la sigla, il sesto rapporto: la prima parte è stata pubblicata ad agosto 2021, la seconda da pochi giorni e la terza uscirà entro la fine di marzo; la sintesi è attesa per settembre 2022.

I rischi per l'Europa. Leggendo il documento pubblicato il 28 febbraio dal secondo gruppo di lavoro (qui potete scaricarne una sintesi, oppure la versione completa: in questo caso prendetevi un po' di tempo libero perché sono quasi 3.700 pagine di materiali) si scopre che l'IPCC identifica quattro principali categorie di rischio per il continente europeo. Tutte e quattro sono caratterizzate dal fatto che peggiorano con il peggiorare del riscaldamento globale: più fa caldo, più questi rischi si avvicinano a diventare certezze, e causano danni sempre maggiori

  • i rischi dovuti alle ondate di calore: se la temperatura media dovesse alzarsi di 3 °C (il doppio dell'obiettivo che ci siamo posti), il numero di decessi causati dalle ondate di calore raddoppierà. Inoltre, le ondate di calore ridurranno gli habitat adatti a specie marine e anche terrestri, e modificherà irrimediabilmente gli ecosistemi del continente;
  • i rischi della siccità, che in particolare per l'area del Mediterraneo sarà il problema principale da affrontare nei prossimi anni;
  • i rischi dovuti a inondazioni più frequenti e più intense, dovute ai cambiamenti nei pattern delle precipitazioni e all'innalzamento del livello del mare;
  • infine, i rischi per l'agricoltura: caldo e siccità combinati porteranno, si legge nel rapporto, a "perdite sostanziali in termini di produzione agricola per la maggior parte delle aree europee".

Troppo caldo, poca pioggia. Il motivo per cui un clima impazzito non fa bene ai raccolti è facile da spiegare. Il caldo eccessivo e la carenza idrica rallentano (o addirittura bloccano) la crescita delle piante, le ondate di calore che si faranno sempre più intense rischiano di rovinare intere annate, e anche i modelli più generosi prevedono che nei prossimi decenni l'Europa meridionale andrà incontro a un aumento vertiginoso del numero di giorni in un anno con insufficienti risorse idriche; con una crescita di 2 °C della temperatura, il 54% della popolazione dell'Europa meridionale conoscerà la siccità, anche se non sempre in forme estreme.

Senza contare che con l'aumento delle temperature bisognerà abbandonare certi raccolti: le proiezioni dicono che la coltivazione di grano, mais e barbabietola da zucchero si ridurrà del 50% nell'Europa meridionale. I raccolti saranno quindi sempre più costosi e difficili da mantenere, con un conseguente calo della quantità e qualità dei prodotti che arrivano sul mercato e un contemporaneo aumento del prezzo.

Stando a un rapporto del 2019 dell'EEA, poi, questo provocherà anche un crollo del valore della terra, che potrebbe diminuire dell'80% entro il 2100, causando un abbandono in massa dei campi e di un'attività ormai non più redditizia. Volete un esempio pratico di questo processo? Nel 2018, a causa di una combinazione di ondate di gelo invernali e ondate di calore e siccità estive, l'Italia ha perso il 57% della sua produzione totale di olive; un anno dopo, la Spagna ne ha perso il 44%.

Perché solo l'Europa del sud? Finora abbiamo parlato di agricoltura in Europa meridionale, ignorando quella settentrionale. C'è un motivo: uno degli effetti collaterali dell'aumento delle temperature è che regioni che fino a pochi anni fa erano troppo fredde per sostenere certi raccolti potranno cominciare a convertirsi all'agricoltura. Per esempio, in Sassonia, dove la temperatura media si è alzata di circa 2 °C negli ultimi decenni, hanno cominciato a comparire i primi frutteti con peschi e albicocchi; mentre in Inghilterra, Danimarca e Svezia c'è addirittura chi produce vino. Il problema è che secondo l'IPCC le perdite per l'agricoltura dell'Europa meridionale non saranno compensate dai guadagni di quella settentrionale. Le soluzioni, o quantomeno le misure di mitigazione, sono quindi da cercare altrove.

Che cosa possiamo fare? A parte tutte le considerazioni di carattere generale su come l'Europa (e il resto del mondo) debba ridurre le emissioni il più possibile, passare a fonti rinnovabili eccetera, ci sono strategie più puntuali per affrontare le sfide all'agricoltura dei prossimi decenni, che sono state delineate dall'Unione Europea nella sua Adaptation Strategy, e che prevedono, oltre a cambiamenti sistemici anche radicali, una serie di adattamenti fatti a livello della singola fattoria, come potete vedere nell'infografica qui sotto.

Vale la pena notare che non si tratta solo di strategie di sopravvivenza a fronte di un'emergenza, ma anche di misure di mitigazione e contrasto al riscaldamento globale: ancora oggi, in Europa l'agricoltura produce il 10% delle emissioni totali di gas serra, e adottare strategie sostenibili e non impattanti è anche un modo per prevenire gli scenari peggiori.

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Come fare a rendere più sostenibile una fattoria? © European Environmental Agency (2019)
7 marzo 2022 Gabriele Ferrari
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