L’uomo continua a dare per scontato che la natura offra dei servizi gratuiti. E il risultato è che assegna un valore positivo a tutto ciò che la mette a repentaglio.
Quanto vale un ecosistema? La risposta non è semplice. |
Enron, Arthur Andersen, WorldCom: alcune delle più grandi compagnie americane sono crollate l’anno scorso in una montagna di debiti, e gli effetti sulla Borsa si sentono ancora. In Europa l’industria è in difficoltà. La crisi economica è un male comune nella maggior parte dei Paesi occidentali, ritenuti i motori dei mercati in tutto il mondo. E l’Italia non è da meno. Secondo il Centro studi di Confindustria, nell’anno appena trascorso la crescita economica non ha superato lo 0,6%.
Che futuro ci aspetta?
Dovrebbe andare meglio l’anno prossimo: secondo le ultime stime, il prodotto interno lordo (Pil) del nostro Paese dovrebbe registrare un aumento del 2,2%. C’è però un problema. Sempre secondo Confindustria, alla luce di queste previsioni, il rapporto tra Pil e deficit fissato dall’ultima Finanziaria, un dato che viene utilizzato per misurare lo stato di salute di un Paese, è troppo ambizioso. In particolare, il Pil cresce troppo poco rispetto a quanto si spende. Il governo prevede che il debito si attesterà sullo 0,8% del Pil, mentre gli industriali sostengono si arriverà all’1,4%. In pratica la forbice tra il Pil, che viene considerato una misura di quanto si guadagna, e debito è troppo aperta. Soluzioni? Stimolare i consumi e ridurre gli interessi per agevolare i prestiti di danaro, dicono gli esperti. In questo modo infatti si stimola la crescita del Pil.
Molti economisti però sono ormai giunti alla conclusione che il prodotto interno lordo non sia il parametro più indicato per misurare l’effettiva ricchezza di un Paese. Per molti motivi. Il Pil è una misura grossolana, è l’accusa principale. Il Pil infatti non distingue costi da benefici, e paradossalmente consente di credere che esista una crescita economica anche quando non c’è. Ogni attività viene infatti considerata positiva, per il semplice fatto che stimola il mercato e il lavoro, indipendentemente dal fatto che incrementi o meno il benessere delle persone.
L’uomo continua a dare per scontato che la natura offra dei servizi gratuiti. E il risultato è che assegna un valore positivo a tutto ciò che la mette a repentaglio.
Operazioni di bonifica in seguito al naufragio di una petroliera. Anche queste aumentano la ricchezza di un Paese. |
«Il paradosso è evidente se si prende in considerazione quello che accade in occasione di un disastro ambientale», dice Robert Costanza, uno dei fondatori dell’economia ecologica, una disciplina recente che considera l’ambiente al pari di tutti gli altri fattori economici. Costanza fa notare che lo sversamento del greggio di una petroliera come la Prestige, affondata al largo delle coste della Galizia (Spagna), nell’attuale distorsione economica si può tradurre in un beneficio. In un caso come questo infatti il Pil aumenta perché si verifica un incremento di attività, in particolare quelle legate alla pulizia del mare e delle coste. Ci sarà anche una perdita: quella subìta dai pescatori, che per per più di una stagione non potranno tirare le reti. Ma poiché l’uso di mezzi meccanici e di tecnologie di alto livello per il disinquinamento muove più capitali rispetto alle attività di pesca tradizionale, il bilancio sarà comunque positivo. Paradossalmente dunque, il disastro si trasformerà a fine anno in un concreto aiuto per l’economia.
Nel conto, fa notare Costanza, è stata dimenticata una cosa, alla quale l’economia classica finora non ha assegnato alcun valore: un ampio tratto di mare perderà la capacità di purificare le acque dolci che arrivano dal continente, contribuire alla regolazione del clima, mantenere in vita organismi apparentemente inutili per l’uomo, e che però sono fondamentali per la sopravvivenza della comunità marina.
L’uomo continua a dare per scontato che la natura offra dei servizi gratuiti. E il risultato è che assegna un valore positivo a tutto ciò che la mette a repentaglio.
Le attività di Borsa (nella foto la New York Stock Exchange) si basano su indicatori di ricchezza messi in discussione dagli economisti ecologici. |
Ian Johnson della World Bank, una delle più importanti istituzioni per l’aiuto finanziario allo sviluppo dei Paesi di tutto il mondo, sostiene che misure convenzionali di crescita, come il Pil, non consentono di valutare correttamente l’incremento di ricchezza proprio perché non considerano gli effetti del degrado ambientale. Il contributo positivo dell’industria del legname alla crescita economica della Cina, ricorda Johnson, è fasullo. Ignora infatti che, proprio a causa della deforestazione, ampie porzioni del territorio sono state distrutte dalle inondazioni. Il risultato è che l’uomo dà per scontato che la natura offra servizi gratuiti, mentre assegna un valore positivo a tutto ciò che la mette a repentaglio.
I vantaggi delle guerre
«In questa prospettiva» continua Costanza, «un Paese in cui i soldi vengono impiegati per combattere guerre, crimine, inquinamento, malattie, è più sano di uno in cui questi mali non si verificano, o vengono prevenuti». Nel 1997 Costanza e altri autori hanno pubblicato uno dei primi articoli scientifici sul valore dei servizi che la natura fornisce. La cifra? Fino a 60 mila miliardi euro ogni anno, ovvero circa il doppio del prodotto internazionale lordo, ottenuto sommando i Pil di tutti i Paesi della Terra. Tra i più importanti: la produzione di ossigeno da parte delle piante, la regolazione della composizione chimica dell’atmosfera, lo smaltimento dei rifiuti organici garantito dai batteri, la depurazione delle acque effettuata dal terreno, la produzione di serbatoi genetici per il futuro realizzata dagli ecosistemi.
L’uomo continua a dare per scontato che la natura offra dei servizi gratuiti. E il risultato è che assegna un valore positivo a tutto ciò che la mette a repentaglio.
Sopra: la crescita economica può apparire diversa a seconda dell'indice utilizzato. In nero, l'andamento del Pil. In rosso, quello dell'Isew dal 1960 al 1990. Il reddito procapite è in lire del periodo intermedio (1985). |
Molti ricercatori hanno proposto ritocchi al Pil. Il meno recente è il Mew, Measure of economic welfare (misura del benessere economico), sviluppato nel 1972 da James Tobin, premio Nobel dell’economia e promotore della tassa sulle transazioni finanziarie. È un aggiustamento che prevede vengano considerati parametri positivi, come le attività del tempo libero, o l’economia sommersa, e negativi, come i danni all’ambiente. Del 1989 è invece l’Isew, Index of sustainable economic welfare (indice del benessere economico sostenibile) degli economisti Herman Daly e John Cobb, che oltre a dare un valore all’ambiente (positivo o negativo a seconda che venga conservato o distrutto) prende in considerazione fattori di benessere o diseguaglianza sociale. Il più recente è invece il Gpi, Genuine progress indicator (indicatore veritiero del progresso) elaborato da Redefining progress, l’associazione americana che ha anche proposto il calcolo dell’impronta ecologica per valutare il vero “effetto” che ciascuno di noi ha sull’ambiente (calcola il tuo impatto sul pianeta con il Multimedia L'impronta ecologica). Il Gpi aggiunge alcuni contributi all’economia che ora non vengono valutati, come il lavoro domestico e nelle associazioni di volontariato, mentre sottrae tutto ciò che provoca crimine e inquinamento. L’economia tra l’altro, trae più di un vantaggio dalla protezione della natura. Secondo le ultime ricerche degli economisti ecologici infatti, per ogni dollaro investito nella conservazione degli ultimi ambienti naturali, la società riceve un interesse del 100% in servizi.
Nel Medioevo neppure al lavoro dell’uomo veniva dato grande valore. Contava solo la proprietà di terre e castelli e persone. Forse è arrivato il momento di non considerare aria, acqua, animali e piante al pari degli schiavi.