Alcuni esperti di pesca di università canadesi e statunitensi guardano con molta perplessità le possibilità che le risorse del mare possano arrivare molto in là nel tempo.
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Un peschereccio giapponese al largo delle coste australiane. |
Se lo sono chiesti alcuni esperti di pesca di università canadesi e statunitensi all'interno di una serie di studi e articoli sul futuro del nostro Pianeta. Le prospettive non sono rosee, anzi. Dopo aver analizzato la situazione delle zone di pesca, gli esperti hanno provato a tracciare quattro scenari per il futuro dell'attività di pesca.
Il primo scenario prevede l'eliminazione dei sussidi (che modificano il mercato, perché finanziano un'attività insostenibile e non economica per impedire il licenziamento di migliaia di persone). Il secondo la protezione da parte di tutti i Paesi delle proprie zone di pesca; questa è la situazione attuale, in cui i paesi ricchi sussidiano le flotte di pesca e quelli poveri affittano le proprie acque alle navi occidentali. È lo scenario peggiore, e gli esperti prevedono una scomparsa di molte zone di pesca nei paesi in via di sviluppo.
Non fare il baccalà. Il terzo scenario (chiamato Policy first, cioè il primato alla politica) prevede l'eliminazione dei sussidi, la creazione di riserve di pesca, la scomparsa di molti metodi distruttivi. Il quarto scenario (che privilegia la sostenibilità) implica ancora la creazione di ampie zone dove non si pesca e un'attenzione alla biodiversità e al ritorno a biomasse di pesci che possano sostenere grandi sforzi di pesca. Gli autori concludono che secondo loro però, dopo avere esaminato molte zone di pesca del mondo, è difficile che i governi prendano in esame gli scenari più radicali. E per questo l'articolo si chiude con una nota negativa, secondo la quale alcune zone di pesca scompariranno entro il 2050.
(Notizia aggiornata al 2 dicembre 2003).