Attraverso la fotosintesi, le piante assorbono anidride carbonica dall'atmosfera. Quando gli alberi e le foglie muoiono, diventano parte del suolo, che sequestra quella CO2 impedendole di tornare in atmosfera. Questo processo contribuisce a intrappolare parte delle emissioni dannose. Ma secondo uno studio dell'Università della California, Irvine, pubblicato su Science, ne avremmo sovrastimato la portata, e non di poco.
Amara sorpresa. I ricercatori hanno misurato la quantità di carbonio-14 (o radiocarbonio) in 157 campioni di suolo di diversa provenienza, per datare la CO2 catturata dal terreno. Hanno così scoperto che l'attuale carbonio presente nel suolo ha circa 3100 anni: è cioè oltre sei volte più vecchio di quanto ipotizzato finora.
Una coperta troppo corta. Questo significa che il suolo integra l'anidride carbonica assorbita dalle piante più lentamente di quanto si credesse, con un ritmo che si sviluppa nell'arco di millenni, e non di secoli. Secondo gli autori, gli attuali modelli climatici sopravvalutano quindi la capacità del terreno di "mettere una toppa" ai nostri danni del 40%.
Un lungo processo. Il suolo impiegherà centinaia, se non migliaia di anni a catturare le emissioni di CO2 degli ultimi decenni: troppo, perché si possa contare sul suo contributo nel limitare l'aumento delle temperature globali a + 2°C, se non a +1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali (un obiettivo, quest'ultimo, che appare già ampiamente fuori portata).
Un aiuto "diluito". «Un quantitativo notevole del gas serra che pensavamo fosse sequestrato dal suolo sta invece rimanendo in atmosfera» spiega Steven Allison, tra gli autori. «Il suolo diverrà un grande serbatoio di carbonio - aggiunge il collega Yujie He - ma non nel prossimo secolo. Non possiamo potenziare le sue capacità di assorbimento, quindi converrà avere un ruolo più attivo nella limitazione dei cambiamenti climatici. Per esempio, tagliando le emissioni da combustibili fossili».